Thapsigargin: una “carota mortale” nella lotta al COVID-19
Può una “carota mortale” essere fonte di un valido aiuto nella lotta contro la pandemia globale che ancora ci affligge? La risposta non è ancora certa, ma è ciò a cui auspicano i ricercatori dell’Università di Nottingham, in Regno Unito. Ad inizio 2021 il gruppo di ricerca, sotto la guida del professore di medicina molecolare veterinaria Kin-Chow Chang, ha portato alla ribalta il thapsigargin (TG). Si tratta di un composto biologicamente attivo estraibile da una pianta nota come “deadly carrot”. Il thapsigargin mostra potenzialità per diventare un antivirale di largo spettro, cioè contro una lista crescente di virus, tra cui le continue emergenti varianti di SARS-CoV-2.
Ma cos’è una “carota mortale”? Questo quantomeno curioso appellativo si riferisce ad una pianta velenosa dal nome Thapsia Garganica. Dai frutti gialli di innocente apparenza, la Thapsia è tipica delle coste mediterranee, in particolare del Marocco. Il suo valore medico e curativo è conosciuto da molto tempo: da secoli alcune culture indigene e la medicina popolare ne hanno usato la resina estratta per il trattamento di dolori reumatici, patologie polmonari e infertilità.
Il thapsigargin
Dalle radici e dai frutti della Thapsia Garaganica si estrae l’agente thapsigargin. Questo potente fitochimico è stato studiato e individuato nei suoi costituenti molecolari già 40 anni fa. Ancora oggi oncologi lo usano nel trattamento di alcuni tumori, in particolare mostra promettenti riscontri contro il cancro alla prostata. Infatti il TG, noto chimicamente con il nome di sesquiterpene lattone, è una potente citotossina in grado di determinare l’apoptosi, cioè il suicido programmato, di alcune cellule maligne. Da qui il suo utilizzo in ambito oncologico.
Il legame tra TG e SARS-CoV-2 trova spazio negli studi condotti a partire dal 2020 dal gruppo di Nottingham. Alla base della ricerca vi è l’idea della necessità di identificare, parallelamente ai vaccini, dei farmaci antivirali in grado di inibire la replica dei virus. Quello che i ricercatori evidenziano è, a fronte della continua mutazione dei virus respiratori, la necessità di progettare antivirali mirati sull’ospite, cioè il nostro organismo, in modo da regolarne la risposta immunitaria innata e permettere l’acquisizione dell’immunità.
Il primo studio degli studiosi di Nottingham viene pubblicato ad inizio 2021 sulla rivista Viruses. Quello che si evidenzia è la capacità del TG, in piccole dosi e in studi in vitro, di determinare un’efficace risposta immunitaria a diversi virus respiratori che colpiscono l’essere umano: il virus dell’influenza, i virus respiratori sinciziali, il virus OC43 del comune raffreddore e le prime forme isolate di SARS-CoV-2. Si inizia ad evidenziare così la capacità antivirale ad ampio spettro del thapsigargin.
Un alleato contro le varianti
A fronte delle continue mutazioni di SARS-CoV-2, il gruppo britannico si concentra sullo studio delle dinamiche tra le varianti più pericolose. Sebbene il virus continui a mutare, molte delle mutazioni hanno impatto risibile sul virus stesso. Laddove la mutazione determini l’incremento di velocità di diffusione, un acuirsi o un modificarsi dei sintomi o una riduzione di efficacia delle misure di trattamento o controllo del virus, la World Health Organization (WHO) riconosce la variante come pericolosa per la sanità pubblica.
Nella lista delle VOC (Variants of concern) attualmente si annoverano le varianti Alpha, Beta, Gamma, Delta e Omicron. Nello studio pubblicato a fine 2021 su Virulence, i ricercatori di Nottingham riportano l’analisi delle dinamiche infettive di Alpha, Beta e Delta, a partire dalla loro osservazione in infezioni in colture cellulari. Si scopre così la predominanza della variante Delta: essa si replica e diffonde tra le cellule più velocemente, addirittura nove volte più rapidamente della Beta, e in caso di coinfezione è in grado di promuovere la replica delle altre varianti.
Nello studio si è inoltre investigato l’effetto di thapsigargin sulle varianti già in esame di SARS-CoV-2. Si è evidenziato che il TG è in grado di bloccare con successo l’infezione delle varianti all’interno di colture cellulari. Il lavoro ha quindi confermato come questo composto non riesca a venire aggirato dall’evoluzione del virus, continuando a risultare efficace. Il composto si è quindi riconfermato come un potenziale antivirale ad ampio spettro.
Negli esperimenti una dose molto sotto livello di citotossicità è stata somministrata alle cellule in coltura prima e durante l’infezione con le varianti Alpha, Beta e Delta. Ogni variante si è dimostrata sensibile al composto. La dose del fitochimico ha bloccato l’infezione nelle cellule o inibito la replicazione della variante in cellule con un’infezione preesistente. Quello che thapsigargin sembra fare è rompere alcuni dei meccanismi che il virus usa per dirottare e riprodursi nella cellula ospite. I dati mostrano quindi che TG non fa da barriera contro l’ingresso del virus ma induce dei percorsi intracellulari che ne inibiscono la replicazione.
Presente e futuro degli antivirali
Il successo dei vaccini è stato e viene messo a dura prova dalle mutazioni virali, più infettive o virulente o in grado di ridurre la protezione immunitaria dei vaccini stessi. In particolare si è osservato che nelle varianti di SARS-CoV-2 è aumentata l’adattabilità del virus al recettore ACE2 della cellula ospite, incrementandone la capacità di replicazione. Le infezioni in persone totalmente vaccinate mostrano la difficoltà dei vaccini contro un target in continua evoluzione e la necessità di trattamenti complementari al fine di controllare la pandemia.
I farmaci antivirali possono aiutare l’organismo a sconfiggere il virus, ridurne la durata di infezione o i sintomi. Essi funzionano in modi molto diversi, ad esempio bloccando i recettori cellulari in modo che il virus non possa legarsi alle cellule sane, incrementando la risposta del sistema immunitario, riducendo la quantità di virus attivo nel corpo. Ad oggi non esiste il farmaco per antonomasia contro il coronavirus SARS-CoV-2. Esistono molte ricerche a riguardo e il miglior candidato per la WHO attualmente è Remdesivir, un antivirale già sviluppato per il trattamento della malattia da Ebola.
In questa corsa alla ricerca di nuove cure si inserisce thapsigargin come potenziale farmaco naturale antivirale. Le premesse che questo composto porta con sé sono buone, se non ottime, per almeno due motivi. Lo stato antivirale che TG induce dura più giorni anche in assenza della sua costante presenza, cosa che lo differenzia dai comuni antivirali, che richiedono un livello minimo di concentrazione per inibire il virus. Ma soprattutto esso è un potenziale farmaco ad ampio spettro, cioè in grado di agire simultaneamente non solo su varie varianti di SARS-CoV-2, ma anche su vari virus respiratori.
Un farmaco in grado di non discriminare tra diversi tipi di virus potrebbe aiutare moltissimo nella gestione pandemica. Se si riuscisse a trasformare thapsigargin in un farmaco assumibile per via orale, lo si potrebbe prescrivere per un rapido intervento senza una specifica diagnosi del virus respiratorio in esame, integrando il ruolo dei vaccini nel ridurre costi e pesi sul sistema sanitario. I segnali perché questo avvenga sono positivi, vista l’efficacia evidenziata in laboratorio, ma ancora non ci sono garanzie. Non è certo che TG sarà efficace contro tutte le future varianti e, essendo estratto da una pianta altamente velenosa, bisogna ancora sviluppare dei trattamenti per renderlo un farmaco sicuro per l’essere umano.