Medicina

Tiroide: fisiologia, patologia e trattamenti dei disturbi

Nella regione anteriore del collo, appena sotto il pomo di Adamo, è posta una piccola ghiandola di appena 5 centimetri di diametro trasversale e di circa 20-25 grammi. È composta da due lobi connessi da una parte centrale chiamata istmo e questa disposizione le conferisce la forma tipica di uno scudo. Per questo motivo, viene chiamata tiroide (dal greco ‘thireos’).

Pur essendo un organo relativamente piccolo svolge delle funzioni importantissime e ha delle responsabilità tanto importanti da farle meritare il nome di “scudo”. La tiroide controlla molte funzioni del nostro organismo e primariamente regola e sovrintende il metabolismo del nostro corpo, ovvero l’insieme di tutte le reazioni chimiche che avvengono nelle nostre cellule o nel nostro organismo. Ad esempio: la trasformazione di molecole complesse in molecole più semplici con produzione di energia (catabolismo) o la sintesi di molecole complesse a partire da molecole più semplici con consumo di energia (anabolismo).

Organi direttamente interessati dall’operato della tiroide. Credits: Microbiologia Italia

La tiroide accelera o rallenta queste reazioni metaboliche in base alle condizioni in cui ci troviamo. Ad esempio, se siamo al freddo oppure al caldo, se siamo stanchi oppure siamo in attività, in base al nostro stato emotivo, se proviamo rabbia, paura, gioia o calma, etc. Questa piccola ghiandola collabora attivamente e ininterrottamente con altri organi compiendo un lavoro estremamente complesso che ci permette di godere di uno stato di benessere, oppure (in caso di disturbi) di essere in una condizione di alterazione (a volte emotivo-fisica). Il suo ruolo di scudo viene espletato grazie alla regolazione di opportuni ormoni che si spostano nel nostro intero organismo, mediante il flusso sanguigno, svolgendo una costante funzione di regolazione e adattamento.

Gli ormoni della tiroide

Gli ormoni vengono prodotti, immagazzinati all’interno della tiroide in strutture chiamate follicoli tiroidei e successivamente rilasciati nel circolo sanguigno, in base alle necessità del nostro organismo. La tiroide produce fondamentalmente due ormoni: la tiroxina (ormone T4, tetraiodotironina) e la triiodiotironina (ormone T3). I numeri 3 e 4 dopo T, si riferiscono al numero degli atomi di iodio contenuti in ciascun ormone. La tiroide provvede anche l’ormone calcitonina, che interviene nel mantenimento della massa ossea favorendo la fissazione del calcio nelle ossa. La tiroide secerne principalmente l’ormone inattivo T4 che poi viene convertito in T3 a seconda delle condizioni e delle esigenze delle cellule. La secrezione e l’attivazione degli ormoni tiroidei è un meccanismo di regolazione sensibile e preciso, che consente all’organismo di adattarsi e rispondere immediatamente ad eventuali cambiamenti del suo funzionamento. Dei due, T3 è l’ormone attivo e agisce su quasi ogni cellula e processo metabolico del corpo.

La tiroide e l’ipofisi

La stretta collaborazione tra la ghiandola tiroidea e l’ipofisi (o ghiandola pituitaria, la più importante ghiandola del sistema endocrino umano, posta alla base del cervello in una struttura ossea) rende possibile il sistema di regolazione di numerosissimi parametri biologici.

L’ipofisi, mediante la secrezione dell’ormone tireostimolante (TSH), comunica alla tiroide di produrre gli ormoni T3 e T4. In questo modo, il sistema endocrino è in grado di controllare funzioni estremamente importanti del nostro organismo. Ad esempio, quotidianamente regola il battito cardiaco, la respirazione, la temperatura corporea, la velocità con cui bruciamo calorie, l’integrità della pelle, la digestione, mentre a lungo termine, regola la crescita del corpo, lo sviluppo progressivo del sistema nervoso centrale e la fertilità.

Come accennato, la tiroxina rappresenta il principale ormone secreto dalla tiroide, ma ha un effetto marginale sulla sollecitazione del metabolismo. La tiroxina viene convertita in triiodiotironina, che rappresenta l’ormone tiroideo più attivo nei processi metabolici. Questa conversione di tiroxina in triiodiotironina avviene principalmente nel fegato, ma può avvenire anche in altri tessuti. Sono numerose le componenti che regolano la conversione di T4 in T3, Ad esempio: richieste specifiche dell’organismo oppure la presenza o meno di alterazioni, disturbi o vere e proprie patologie.

Interazione del cervello con la tiroide. Credits: JAMA

Il ruolo della globulina

La maggior parte degli ormoni tiroidei circola nel sangue trasportata da una specifica proteina, la globulina. Una minima parte d’essi, invece, circola liberamente nel sangue. Il nostro organismo utilizza proprio gli ormoni che circolano liberamente nel flusso sanguigno, assegnando al trasporto della globulina un ruolo di deposito, così appena questi vengono impiegati in una reazione, una parte degli ormoni legati alla globulina vengono rilasciati per compensare la quantità di ormoni nel flusso dei corpuscoli. Quando il corpo ha bisogno di più ormoni tiroidei, il cervello stimola l’ipofisi ad aumentare la secrezione di TSH. Alla riduzione delle quantità di T3 e T4 circolanti nel sangue corrisponde l’aumento dei livelli di TSH che stimolano la secrezione di maggiori quantità di T3 e T4 da parte della tiroide, a seconda delle necessità dell’organismo.

L’importanza dello iodio

Per produrre gli ormoni T3 e T4, la tiroide necessita di iodio. Grazie a un’alimentazione naturale, ricca ed equilibrata, il nostro organismo fornisce a questa ghiandola le quantità necessarie di questo elemento. La tiroide cattura lo iodio e lo assimila negli ormoni tiroidei. Nel momento in cui questi ormoni vengono utilizzati, parte dello iodio in essi contenuta viene rilasciata e ritorna alla tiroide stessa. Qui, può essere recuperata per produrre nuovi ormoni. Quando la tiroide viene esposta a livelli elevati di iodio (presenti nel sangue) reagisce secernendo una quantità lievemente inferiore di ormoni, per un sistema di bilanciamento dei livelli generali di iodio.

Regolazione naturale degli ormoni della tiroide

Come accennato prima, il nostro organismo utilizza un meccanismo estremamente complesso e bilanciato per equilibrare i livelli degli ormoni tiroidei. Ecco perché questa ghiandola e il suo sistema fisiologico sono estremamente sensibili alle variazioni di sostanze nel sangue, di attività metabolica, di equilibrio del sistema nervoso, etc. Come primo passo, l’ipotalamo (una struttura chiave del sistema nervoso centrale situato nella zona centrale tra i due emisferi del cervello, immediatamente sopra l’ipofisi) secerne l’ormone di rilascio della tireotropina (TRH), questo ormone stimola la produzione da parte dell’ipofisi dell’ormone tireostimolante (TSH). Il TSH stimola la tiroide a produrre gli ormoni tiroidei (T3 e T4).

L’ipofisi regola e bilancia il rilascio di TSH, esaminando costantemente i livelli di T3 e T4 in circolo nel sangue e verificando ininterrottamente l’aumento o la riduzione dei livelli di questi ormoni. La comunicazione con il cervello e il sistema endocrino è bidirezionale. La tiroide interagisce, tramite vie nervose e ormonali, con la corteccia cerebrale, mentre esercita e subisce l’influenza degli ormoni dello stress (adrenalina, cortisolo, dopamina).

Confronto tra le strutture dei due ormoni tiroidei, la T3 (triiodotironina) contiene 3 atomi di iodio (I) mentre la T4 (tiroxina) ne contiene 4. Credits: Metabolomic Medcine

Anomalie e disturbi della tiroide

Di norma la tiroide non è visibile dall’esterno ed è possibile percepirla con la palpazione solo lievemente, tuttavia se le sue dimensioni dovessero aumentare e divenire riconoscibile, si può percepirla facilmente alla palpazione.

Ipertiroidismo

In alcuni casi, si potrebbe presentare una massa prominente di dimensioni anomale (gozzo) al di sotto o ai lati del pomo di Adamo. Questa condizione di anomalia nelle dimensioni della tiroide si manifesta quando vengono secreti troppi ormoni e si mostra una condizione clinica chiamata ipertiroidismo. Dato il ruolo chiave della tiroide nella regolazione dei processi menzionati prima, l’ipertiroidismo causa una serie di sintomi che influenzano sia la sfera emotiva che quella fisica.

Questi sintomi possono essere più o meno gravi, ad esempio si può avere: nervosismo, ansia, iperattività, perdita di peso, anomalie del battito cardiaco, etc. Le cause dell’ipertiroidismo possono essere diverse e la più comune è il morbo di Basedow-Graves, una malattia autoimmune che può colpire a qualsiasi età.

Ipotiroidismo

Se, invece, la tiroide non produce ormoni sufficienti, si verifica una condizione clinica chiamata ipotiroidismo. A differenza dell’ipertiroidismo, al principio l’ipotiroidismo provoca pochi o rari disturbi, ma se non si pone rimedio con una cura farmacologica specifica, con il passare del tempo può influire molto sulla condizione di salute della persona e innescare problemi seri come obesità, dolori articolari, infertilità e malattie cardiache.

L’ipotiroidismo si manifesta sia in uomini che donne, anche se è stato osservato che è statisticamente più comune tra le donne, e soprattutto nella fascia di età che va al di sopra dei 60 anni. Se per anomalie nello sviluppo del feto, la tiroide non si forma correttamente, si può manifestare l’ipotiroidismo fetale che rappresenta una grave causa di ritardo nello sviluppo delle capacità cognitive del bambino e dello sviluppo della crescita dello stesso.

I noduli

Confronto tra una ghiandola sana ed una ghiandola con noduli. Credits: Igea S. Antimo

Se i due disturbi menzionati prima (ipotiroidismo ed ipertiroidismo) vengono innescati da una produzione irregolare di ormoni tiroidei, un’altra forma di affezione della tiroide deriva dalla formazione di strutture disomogenee nel tessuto stesso della ghiandola. La tiroide può presentare noduli nella struttura del proprio tessuto. Questi noduli rappresentano formazioni solide, di densità e granulosità variabile, più o meno disomogenee o piene di liquido. Si formano all’interno della stessa struttura tissutale della ghiandola e rappresentano la malattia tiroidea più frequente.

Generalmente, questi noduli sono formazioni benigne e statisticamente risulta che solo nello 0,3% dei casi sono formazioni maligne. In quest’ultimo caso si parla di tumori della tiroide. Se in genere i disturbi della tiroide richiedono un approccio farmacologico, nel caso di questa tipologia difforme di noduli maligni, può essere necessario un approccio di tipo chirurgico, volto alla rimozione della massa anomala legata alla ghiandola. Le formazioni nodulari della tiroide sono, nella maggior parte dei casi, non gravi e non causano disturbi o sintomi troppo rilevanti, per questo motivo è molto frequente che si scopra di averli in modo del tutto casuale.

Il gozzo

Un’altra patologia piuttosto diffusa della tiroide è il gozzo: un aumento irregolare del volume della tiroide. La dimensione di questo ingrossamento può variare da persona a persona: nella maggior parte dei casi è ridotto e non causa alcun sintomo ma, se il volume della tiroide aumenta in modo significativo, possono verificarsi disturbi della respirazione e della deglutizione.

Tumori della tiroide

Ci sono rari casi di tumori della tiroide, dovuti ad una crescita atipica di un gruppo di cellule, e possono essere sia benigni che maligni. È rilevante rammentare che un nodulo alla tiroide non è necessariamente un tumore. La statistica indica che circa 1 nodulo su 20 è di origine tumorale. Inoltre, i tumori della tiroide sono a crescita lenta e poco aggressivi, tanto da rimanere, spesso, silenti senza dare segni per tutta la vita.

Tiroiditi

Un’ultima affezione tiroidea riscontrata frequentemente è la tiroidite. Questa patologia si manifesta quando nella tiroide si innesca un processo infiammatorio che può causare livelli anomali di ormoni tiroidei nel sangue. L’origine della tiroidite può variare a seconda della tipologia: alcune sono di origine autoimmune (tiroidite di Hashimoto), altre sono di origine virale (tiroidite di De Quervain), altre ancora sono di origine batterica (tiroidite acuta). Secondo i dati statistici attuali le donne sono molto più soggette alle malattie tiroidee rispetto agli uomini.

Esami diagnostici per la tiroide

Gli esami clinici utili per diagnosticare una patologia tiroidea sono diversi. La medicina moderna permette di decidere in base alla natura e l’entità del disturbo, di procedere progressivamente, scremando i risultati fino a isolare il problema specifico che causa un determinato disturbo.

In genere l’ormone tireostimolante è il migliore indicatore della funzionalità tiroidea. Poiché il ruolo di questo ormone è stimolare la tiroide, il suo livello nel sangue è alto quando la tiroide è ipoattiva (e quindi ha bisogno di una maggiore stimolazione) e basso quando la tiroide è iperattiva (e quindi ha bisogno di una minore stimolazione). Tuttavia, nei rari casi in cui l’ipofisi non funziona normalmente, il livello del TSH non riflette in modo attendibile la funzionalità tiroidea.

Misurare i livelli degli ormoni della tiroide

Quando si misurano i livelli degli ormoni tiroidei T4 e T3 nel sangue generalmente si misurano sia le forme legate che quelle libere di ciascun ormone (T4 totale e T3 totale). Tuttavia, in caso di livello anomalo della globulina legante la tiroxina, i livelli degli ormoni tiroidei totali possono essere interpretati in modo errato. Per questo motivo a volte vengono misurati solo i livelli degli ormoni liberi nel sangue.

Il livello di globulina legante la tiroxina è più basso nei soggetti con patologie renali o malattie che riducono la sintesi proteica da parte del fegato oppure che assumono steroidi anabolizzanti. Il livello è più alto nelle donne in gravidanza o che assumono contraccettivi orali o altre forme di estrogeni e nei soggetti con epatite in fase iniziale. Ad esempio, il primo passaggio riguarda gli esami del sangue. L’obiettivo è valutare i livelli degli ormoni tiroidei circolanti.

Come detto in precedenza, di norma si procede al rilevamento del valore dell’ormone tireostimolante (TSH) e della tiroxina (T4) ed in alcuni casi si rileva anche la triiodotironina (T3). Si cerca di ottenere una misura accurata della quantità di ormoni tiroidei presenti nel sangue in modo da trarre conclusioni più accurate possibile. Ad esempio, livelli di T4 alti associati a livelli di TSH bassi o non rilevati, indicano una tiroide che produce troppo ormone, ovvero è in una condizione di ipertiroidismo. Al contrario, livelli di T4 bassi associati a livelli di TSH alti evidenziano una condizione di ipotiroidismo.

La paziente è una donna asiatica con un ingrossamento anomalo della ghiandola tiroidea dovuta ad ipertiroidismo. Credits: Getty

Ulteriore approfondimento

Un ulteriore approfondimento prevede di valutare quantitativamente i livelli di anticorpi contro la perossidasi tiroidea (TPO) presenti nel sangue, questo metodo permette di avere informazioni sulla eventuale presenza di tiroidite autoimmune (Hashimoto).

Esami clinici più complessi prevedono l’impiego della diagnostica per immagine, attraverso lettura di una immagine ecografica, al fine di esaminare la struttura e le dimensioni della tiroide, per evidenziare l’eventuale presenza di noduli nel tessuto della ghiandola e differenziare le cisti (noduli pieni di liquido) da noduli a struttura solida.

Un approfondimento aggiuntivo è dato dalla tecnica diagnostica chiamata “agoaspirato e biopsia”, in questo caso viene prelevato un campione di tessuto tiroideo per distinguere tra noduli tiroidei benigni e maligni. L’agoaspirato è eseguito adottando un ago sottile per prelevare, sotto la guida di un’ecografia, del tessuto da sottoporre ad esame. L’esame del tessuto prelevato aiuta a determinare se nella tiroide siano presenti cellule cancerose e, nel caso, precisare a quale catalogazione appartengano.

Nel caso si renda necessario un esame ulteriormente approfondito dei noduli, si può ricorrere alla scintigrafia: questo metodo diagnostico può fornire informazioni utili sulla struttura e la funzionalità della tiroide. In pratica, la tecnica consiste nell’introdurre di una piccola quantità di iodio radioattivo in vena. Lo iodio si accumula nella tiroide e la rende evidente alla macchina. Quindi può essere studiata nei dettagli grazie a questa macchina. Questa tecnica permette di distinguere i noduli caldi (che producono un eccesso di ormone e sono quasi sempre non cancerosi) e i noduli freddi (che non producono ormone ma possono essere cancerosi).

Terapia farmacologica per i disturbi della tiroide

Una molecola di levotiroxina. Credits: Ben Mills/Wikipedia

Com’è chiaramente comprensibile, la terapia adeguata dipende dalla natura e dall’entità del disturbo: potrebbe essere sufficiente una terapia farmacologica, potrebbe essere necessario un trattamento mirato oppure potrebbe essere opportuno ricorrere alla chirurgia. L’approccio terapeutico consueto prevede lo studio del singolo caso fin dall’esordio della malattia.

Terapia farmacologica: ipotiroidismo

La terapia standard per l’ipotiroidismo solitamente prevede l’assunzione regolare di farmaci mirati.
È una terapia abbastanza semplice, sicura ed efficace. Quotidianamente vengono assunti per via orale dosi calibrate dell’ormone tiroideo T4 (sotto forma di levotiroxina) in modo da riequilibrare il livello dell’ormone nel sangue e invertendo, così, i disturbi e i sintomi dell’ipotiroidismo. Vista la sua natura, questo farmaco va assunto per tutta la vita.

La levotiroxina è solitamente fruibile sotto forma di compresse da assumere per via orale a stomaco completamente vuoto in modo da semplificarne l’assorbimento. Per questo scopo è meglio assumere il farmaco la mattina, prima di fare colazione. Dopo l’assunzione della compressa è indispensabile attendere almeno 30 minuti prima di ingerire cibo, questo per evitare di influenzare l’assorbimento dell’ormone.

Com’è intuibile, gli effetti collaterali della levotiroxina solitamente si verificano quando ne è stato assunto un dosaggio eccessivo e possono essere simili a quelli naturali dovuti a una eccessiva quantità di ormone tiroxina: battito cardiaco irregolare, crampi muscolari, vomito, diarrea, perdita di peso, problemi di sonno, mal di testa, sudorazione, etc. Ma una volta calibrato il giusto dosaggio del farmaco gli effetti collaterali non si manifestano più e la tiroide si comporta come se fosse completamente sana.

Terapia farmacologica: ipertiroidismo

La terapia standard per l’ipertiroidismo dipende da diversi elementi: età, condizione fisica, serietà della malattia e cause della stessa. Sono disponibili diverse terapie la scelta delle quali dipende da diversi parametri.

Lo iodio radioattivo è una forma di radioterapia usata per curare la maggior parte dei casi di tiroide iperattiva. Il livello di radioattività dello iodio somministrato è molto basso e viene tenuto a un livello tale da non essere dannoso. Il farmaco viene assunto per via orale e lo iodio viene assorbito in modo selettivo dalla tiroide determinando una riduzione della produzione di ormoni tiroidei e del volume della ghiandola. Con questa terapia, in genere i sintomi dell’ipertiroidismo regrediscono in un periodo che va da tre a sei mesi. Questa terapia non è immune da rischi: la produzione di ormoni tiroidei potrebbe diventare troppo limitata, causando un ipotiroidismo.

Un’altra tecnica farmacologica per l’ipertiroidismo consiste nell’uso di sostanze anti-tiroide (tionamidi), ovvero farmaci che riducono la sintesi degli ormoni tiroidei. In questo modo si riducono progressivamente i sintomi che, in un periodo che va da sei a dodici settimane, iniziano a migliorare. La cura, di norma, continua con dosaggi più bassi per almeno un anno. Questa terapia in alcuni casi risolve il problema in modo definitivo, ma in altri può verificarsi una ricaduta. Anche questi farmaci possono avere gravi effetti collaterali e danneggiare seriamente il fegato. Questo impone un utilizzo molto attento unito a controlli regolari.

Un altro valido aiuto farmacologico è provveduto dai beta-bloccanti, comuni nella cura dell’ipertensione: benché non riducano i livelli di ormoni tiroidei, possono agire sui sintomi cardiaci dell’ipertiroidismo (battito rapido o irregolare) limitandoli tenendo sotto controllo la frequenza cardiaca. Anche i beta-bloccanti, non compatibili con i pazienti asmatici, possono causare effetti indesiderati, come sensazione di stanchezza, mani e piedi freddi e difficoltà a dormire.

Terapia farmacologica: il gozzo

Una attenzione particolare merita la terapia del gozzo. L’approccio farmacologico a questa patologia dipende largamente dai sintomi e dai fattori che lo hanno causato. In linea di principio, quando ci si raffronta con gozzi di piccole dimensioni questi non hanno bisogno di un trattamento specifico, perché non causano problemi rilevanti. Se il gozzo è causato da ipotiroidismo l’approccio terapeutico segue le indicazioni date per questo disturbo: si assume ormone tiroideo T4 (levoritoxina). Mentre nel caso in cui il gozzo è determinato da ipertiroidismo, la terapia prevede l’impiego di iodio radioattivo, farmaci antitiroidei o betabloccanti.

Terapia farmacologica: i noduli

Una riflessione del tutto diversa merita il trattamento dei noduli tiroidei. Ci sono casi in cui, i noduli tiroidei producono tiroxina. Questo porta uno scompenso nei livelli ormonali del sangue. In questa circostanza i noduli vengono trattati con le terapie valide per l’ipertiroidismo, e in modo specifico con iodio radioattivo, farmaci anti-tiroide (tionamidi). Quando non sono possibili cure farmacologiche appropriate si ricorre a un approccio di tipo chirurgico. Chiaramente, anche nel caso di un nodulo tiroideo maligno si rende necessario ricorrere a un intervento chirurgico (tiroidectomia) al fine di eliminare tutta o gran parte della tiroide.

Terapia farmacologica: tumori

Nel caso di carcinomi follicolari o papillari con rischio di metastasi, non necessariamente si ricorre a un intervento chirurgico. C’è un altro trattamento efficace, da solo o come coadiuvante post-operatorio: lo iodio radioattivo. Questo elemento aiuta a eliminare eventuali cellule tumorali residue e a prevenire la ricomparsa del tumore. Le cellule tiroidee residue assorbono lo iodio radioattivo e la radiazione emessa le distrugge.

Terapia farmacologica: tiroiditi

Per le tiroiditi la terapia viene scelta a seconda della natura e dell’entità dell’infiammazione. Per la tiroidite di Hashimoto, viene impegata la cura a base di ormone tiroideo T4 (levotiroxina) che, solitamente, è indicata per tutta la vita. Alcune tiroiditi causano dolore. In questo caso, la terapia farmacologica prevede di alleviare questo disturbo mediante l’impiego di corticosteroidi. Nel caso in cui la tiroidite ha una origine infettiva, una terapia a base di antibiotici è adatta a migliorarne le condizioni.

L’importanza di mantenere la funzione della ghiandola tiroide residuale

Come ampiamente osservato, benché l’assunzione di ormoni tiroidei aiuti a migliorare i sintomi dell’ipotiroidismo e gli aggiustamenti ai farmaci tiroidei 2-3 volte all’anno costituiscano un buon rimedio ad una attività tiroidea compromessa, questi trattamenti non possono sostituire completamente il lavoro diligente e costante della tiroide. Per questo motivo, per la medicina è imperativo fare ciò che è necessario per mantenere ogni funzione della ghiandola residuale che consenta all’’organismo di adattarsi metabolicamente a questi cambiamenti.

Grazie alla ricerca ed all’esperienza statistica, abbiamo osservato che, anche quando la ghiandola tiroidea è sottoattivata fino all’80%, questa percentuale può essere sostituita da un trattamento ormonale. Il restante 20% della funzione della ghiandola è sufficiente per la maggior parte degli aggiustamenti di routine del metabolismo alle necessità della vita quotidiana, al mantenimento di una buona qualità della vita.

Terapia chirurgica per i disturbi della tiroide

Benché gran parte delle patologie legate alla tiroide possono essere trattate con rimedi su base farmacologica, sia mediante assunzione di ormoni che di appositi preparati (iodio radioattivo, antibiotici, corticosteroidi o tionamidi), nel caso di patologie della tiroide molto gravi, spesso è necessario ricorrere a un intervento di tipo chirurgico perché la compromissione delle funzioni ghiandolari è tale da rendere necessaria la rimozione dell’intera ghiandola oppure perché un tumore o noduli maligni rendono impossibile il trattamento classico, mettono a rischio l’integrità del sistema endocrino. Oppure non sono possibili altre cure, ad esempio in stato di gravidanza, in presenza di un grande gozzo, per recidiva post terapia con farmaci antitiroidei o in caso di disturbi oculari per il morbo di Basedow-Gravesun. In questi casi, la medicina provvede un intervento chirurgico estremamente delicato, la tiroidectomia.

La tiroidectomia

Questa opzione rappresenta la prima scelta terapeutica nei noduli unici e nei gozzi di grosse dimensioni. L’intervento viene normalmente effettuato con tecnica tradizionale o, in alcuni centri, mediante chirurgia video-assistita minimamente invasiva (MIVAT), riducendo in tal modo l’ampiezza della cicatrice ed il tempo di degenza. In passato l’approccio preferito era l’asportazione del solo nodulo o di una sola parte della tiroide così da mantenere una riserva funzionale ghiandolare adeguata ed evitare la terapia sostitutiva.

Tuttavia, l’elevata percentuale di recidive osservate nel lungo termine con questo approccio (fino al 60%) ha orientato i chirurghi verso l’intervento di tiroidectomia totale. Come tutti gli interventi, tuttavia, la chirurgia presenta dei possibili rischi generali e dei rischi specifici dell’intervento di tiroidectomia quali lesioni del nervo ricorrente e ipoparatiroidismo. Tuttavia, se la tiroidectomia totale è praticata da un chirurgo esperto, le complicanze suddette insorgono in una percentuale inferiore all’1%.

Con l’intervento chirurgico viene asportata tutta, o gran parte, della tiroide. C’è un rischio serio connesso a questo tipo di intervento: potrebbe occorrere un danno alle corde vocali con alterazione della voce o alle paratiroidi (ghiandole che aiutano a controllare i livelli di calcio nel corpo). La tiroidectomia totale, per molti, rappresenta un trattamento di sicura efficacia in quanto consente l’asportazione di tutti i noduli presenti nella tiroide in modo definitivo. A motivo della ridotta o mancante funzione della ghiandola, a seguito dell’intervento sarà necessario assumere per tutta la vita l’ormone tiroideo T4 (levoritoxina). Tuttavia, il dato statistico incoraggiante è che la maggior parte delle persone risponde bene alle cure.

Terapia chirurgica per il gozzo

Anche riguardo alla terapia per il gozzo, nel caso le dimensioni di quest’ultimo sono tali da interferisce con la respirazione o la deglutizione e la terapia farmacologica non ha prodotto miglioramenti sensibili, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico di tiroidectomia per rimuovere una parte o la totalità della tiroide al fine di liberare le aree del collo sotto pressione.

Terapia chirurgica per i noduli

Comunemente, le condizioni citate prima non si verificano con grande frequenza, tuttavia molto più di frequente, chi soffre di patologie tiroidee manifesta la presenza di noduli. Benché nella maggior parte dei casi questi noduli non producono subito effetti rilevabili, nell’ambito dell’approccio chirurgico per la cura delle patologie della tiroide, una attenzione particolare merita proprio il trattamento dei noduli tiroidei.

Il trattamento dei noduli dipende dalla diagnosi. Se un nodulo tiroideo non è cancerogeno, ci sono diverse strategie di cura. Un nodulo tiroideo benigno va costantemente monitorato e tenuto sotto controllo con specifici esami annuali per la funzionalità tiroidea e con una ecografia per stabilirne eventuali cambiamenti morfologici. Se le condizioni e la morfologia rimangono invariate, come detto in precedenza, potrebbe non essere necessario provvedere alcuna cura, ma lasciare l’apparato tiroideo in equilibrio.

In linea di principio, è buona norma cercare di preservare questo equilibrio ricorrendo a eventuali terapie il meno invasive possibili. Si potrebbe optare per una terapia con l’ormone tiroideo T4 (levotiroxina) che indurrà l’ipofisi a produrre meno TSH, stimolando una minore crescita del tessuto tiroideo e di fatto contrastando quindi la crescita del nodulo.

Se dopo aver tentato diverse terapie con l’intento di evitare l’approccio chirurgico, un nodulo benché benigno, assume dimensioni tali da cominciare ad interferire con la respirazione o la deglutizione, allora la nuova condizione potrebbe richiedere un intervento chirurgico atto a limitare questa condizione ostruttiva. Va aggiunto che oggi esistono alcune metodologie chirurgiche poco invasive, che permettono la cura dei disturbi appena considerati, senza lasciare segni troppo evidenti (cicatrici tiroidee), senza rischiare di compromettere sistemi sani presenti nel collo e senza creare un eccessivo stress al paziente. Di questo parleremo più avanti nell’articolo.

La tipica cicatrice di un intervento di tiroidectomia. Credits: Medicina Online

Perché è importante salvare, anche solo parzialmente, la tiroide?

La tiroide si esaurisce gradualmente, nel tentativo di attivare un metabolismo che non funziona correttamente. Il problema però non riguarda esclusivamente la tiroide, bensì il metabolismo stesso e i fattori che lo regolano. A questo punto, la somministrazione esogena di ormoni rappresenta uno strumento fondamentale che può migliorare il quadro clinico e la qualità della vita del paziente.

Tuttavia, come spiegato in precedenza, è facile intuire che l’aggiustamento tramite terapia farmacologica non può sostituire completamente la costante e specifica regolazione che effettua il corpo umano. È davvero importante limitare l’impatto della terapia chirurgica su questa preziosa ghiandola. La soluzione essenziale è il recupero della normale funzionalità dell’organismo e il ripristino dei fattori metabolici che hanno contribuito allo sviluppo della malattia della tiroide.

Disturbi associati alla tiroidectomia

In generale, un intervento di tiroidectomia produce considerevoli svantaggi. Alcuni temporanei, altri ben più invasivi. Si è già parlato della probabilità di compromettere le corde vocali, la trachea o altre parti delicate che si trovano nel collo in prossimità della tiroide. Ma esistono anche effetti postumi dell’intervento che portano ad avere una qualità della vita ridotta se confrontata con quella che deriverebbe da un approccio seppur chirurgico ma meno invasivo della tiroidectomia.

A titolo di esempio, si consideri che uno studio eseguito negli Stati Uniti ha valutato la qualità della vita di soggetti obesi dopo che erano stati sottoposti a tiroidectomia per gozzo. I risultati hanno indicato che c’è un ulteriore vantaggio dell’approccio chirurgico non invasivo, per la riduzione dei fenomeni di compressione dovuti all’obesità. Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che l’obesità è un fattore importante da considerare nel prevedere il miglioramento dei sintomi da compressione prima e dopo la tiroidectomia eseguita nei casi di gozzo. Un approccio meno invasivo della tiroidectomia produce risultati migliori ed una migliore qualità della vita nei pazienti trattati, nel periodo post-operatorio.

Infine, non è da trascurare l’impatto emotivo che può produrre una cicatrice chirurgica sull’equilibrio psicofisico dei pazienti affetti da disturbi tiroidei. Per le ragioni appena menzionate: rischi legati all’intervento di chirurgia classica, impatto sulla qualità della vita, impatto sulla sfera emotiva del paziente, necessità di mantenere una seppur minima parte di ghiandola ancora attiva. Si rende evidente l’importanza che rivestono le moderne tecniche di riduzione del volume o di rimozione delle parti compromesse della tiroide.

Terapia alternativa per i disturbi della tiroide

Oltre alle terapie farmacologiche e all’intervento chirurgico, più o meno invasivo, ci sono terapie alternative che possono essere impiegati in determinate condizioni.

Alcolizzazione percutanea con etanolo

Una delle tecniche maggiormente utilizzate nella cura delle cisti tiroidee (noduli con liquido) è rappresentata dall’alcolizzazione percutanea con etanolo: questo trattamento è il più evoluto per il processo delle cisti tiroidee benigne recidivanti.

L’alcolizzazione è detta anche PEI (Percutaneous Ethanol Injection). Consiste nell’iniezione di alcool etilico, mediante ago sottile, all’interno del nodulo tiroideo. Ciò determina necrosi coagulativa e trombosi dei piccoli vasi dei noduli tiroidei causando riduzione del volume del nodulo. Tuttavia, tale metodica si è dimostrata poco efficace nel trattamento dei noduli solidi mentre è più utile nel trattamento dei noduli cistici recidivanti in cui l’aspirazione del contenuto permette di creare una cavità in cui instillare l’alcool, ottenendo ottimi risultati in termini di riduzione volumetrica.

Termoablazione percutanea

Se la comparsa di sintomi e l’aumento eccessivo delle dimensioni rendono necessario intervenire chirurgicamente su noduli benigni, una valida alternativa alla chirurgia invasiva è rappresentata dalla termoablazione percutanea. Questo trattamento mira a ridurre la crescita di un nodulo e i relativi sintomi. Questa cura consiste nella “bruciatura” mirata del tessuto.

Mediante l’utilizzo di elettrodi sottilissimi (che non lasciano segni evidenti sul collo del paziente) si raggiunge il nodulo o la parte di tiroide da asportare e mediante una sorgente di energia calibrata viene applicata una corrente estremamente circoscritta al tessuto target al fine di bruciare il nodulo. Il calore generato all’interno del nodulo (circa 100 °C) provoca la distruzione (ablazione) per necrosi coagulativa del tessuto tiroideo, che verrà sostituito nel tempo da tessuto fibroso-cicatriziale prodotto dalla stessa ghiandola, determinando così una notevole riduzione della dimensione del nodulo tiroideo.

Intervento di Termoablazione Percutanea con Laser per un voluminoso nodulo del lobo destro. Vengono utilizzati due aghi contemporaneamente e senza necessità di anestesia. Credits: tiroide.org

La procedura può essere effettuata mediante diverse metodiche. L’HI-FU (High Intensity Focused Ultrasound) è una di queste, ma le tecniche attualmente più studiate si basano sull’uso del laser (termoablazione laser) o della radiofrequenza (termoablazione con radiofrequenze). Si tratta di procedure ancora in fase di perfezionamento ma, visti i risultati preliminari, rappresentano una prospettiva terapeutica d’interesse per il futuro che sicuramente entreranno a far parte del ventaglio di possibilità di trattamento dei noduli tiroidei benigni.

Va chiarito che queste procedure di ablazione non determinano l’eliminazione totale o la scomparsa del nodulo. Infatti, con la termoablazione si ottiene una riduzione dimensionale del nodulo che può variare dal 5 al 90 % del volume iniziale. Questa variabilità dipende dalle caratteristiche intrinseche del nodulo e dalla metodica utilizzata. Per questo motivo prima di effettuare l’ablazione termica è necessaria una valutazione del quadro clinico da parte di un medico specializzato in tecniche ablative per valutare se il nodulo è candidabile alla termoablazione.

Operazioni preliminari per la termoablazione e procedura

Preliminarmente vanno dosati la funzione tiroidea, il TSH, la calcitonina ed altri parametri laboratoristici. È fondamentale, inoltre, una diagnosi citologica dopo agoaspirato che accerti la sicura benignità della lesione (TIR2). La termoablazione si effettua con paziente supino con collo iperesteso e sotto continuo monitoraggio ecografico. Uno o più aghi (a seconda della procedura e delle dimensioni del nodulo) vengono inseriti all’interno del nodulo tiroideo sotto stretto monitoraggio ecografico. Sempre a seconda della metodica utilizzata l’ago potrà avere un calibro variabile da 17 a 21 G ma è sempre collegato a una sorgente laser nella termoablazione laser o ad un generatore di radiofrequenze nella termoablazione con radiofrequenze.

Una sessione può durare dai 20 ai 40 minuti, a seconda della potenza utilizzata e delle dimensioni del nodulo. Talvolta possono essere necessarie più sessioni per raggiungere i risultati auspicati.
I risultati non sono mai immediati ma è necessario aspettare alcune settimane (e talvolta alcuni mesi) affinché si osservi una riduzione dimensionale apprezzabile del nodulo tiroideo.

Dopo la procedura si esegue una valutazione ecografica per escludere complicanze intra o extranodulari, mentre l’estensione della necrosi indotta è valutabile con l’ausilio del Color Doppler o del mezzo di contrasto. Il paziente rimane in osservazione per circa due ore e viene dimesso con l’indicazione a effettuare una terapia antinfiammatoria per qualche giorno. Controlli ecografici successivi si effettuano a 3, 6 e 12 mesi, associati ad una valutazione del profilo ormonale e ad un esame clinico.

I vantaggi

I vantaggi della termoablazione dei noduli tiroidei rispetto all’intervento chirurgico consistono nel fatto che trattandosi di una metodica minimamente invasiva non richiede necessariamente un ricovero. Non è prevista l’anestesia generale (tutt’al più una minima anestesia locale) e si può eseguire, a discrezione dell’operatore, sotto blanda sedazione. L’ablazione termica dei noduli tiroidei, inoltre, ha il vantaggio di non causare cicatrici e di non rendere necessaria una terapia sostitutiva con levotiroxina per tutta la vita.

I possibili effetti collaterali, di entità mai superiore a quelli segnalati per gli interventi chirurgici, possono essere minimi cambiamenti di voce, ematomi e vomito ma sono solitamente transitori. A differenza della chirurgia, tuttavia, non può essere esclusa una possibile ricrescita del nodulo. Tuttavia, il trattamento termo-ablativo può sempre essere ripetuto e l’ablazione termica non impedisce, né inficia, un eventuale successivo trattamento chirurgico.

Conclusioni

Ciascuno valuterà insieme all’endocrinologo ed in base alle circostanze personali, una adeguata linea terapeutica. Oggi, possiamo contare su metodologie mirate, sia da un punto di vista farmacologico che da un punto di vista chirurgico. L’obiettivo comune sarà ottenere la migliore qualità della vita, cercando di risolvere nel modo più appropriato i disturbi o le affezioni tiroidee, mantenendo al contempo anche una minima parte di questa preziosa ghiandola attiva.

Articolo a cura di Francesca Maria Iervolino.

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