La prostata è una ghiandola dalla forma “a castagna” posta sotto la vescica, anteriormente al retto. E’ attraversata da un tratto dell’uretra, il canale che porta l’urina dalla vescica verso l’esterno, e la sua principale funzione è quella di produrre una parte del liquido seminale per formare lo sperma. Il tumore della prostata rappresenta ancora oggi il tumore maschile più diffuso. Si stima che il 40 % della popolazione maschile ne sia affetta ed il dato aumenta notevolmente con l’età. Sebbene molti di questi tumori non siano maligni o abbiano una scarsa aggressività (dati recenti danno un tasso di sopravvivenza a 15 anni del 93%), il tumore prostatico rappresenta comunque l’8% tra le cause di morte per tumore tra gli uomini.
Tra i primi sintomi c’è, generalmente, l’ingrossamento della ghiandola, rilevabile alla visita urologica con l’esplorazione rettale o con un’ecografia. Esistono programmi di prevenzione che offrono ecografie addominali per fare una valutazione preliminare delle dimensioni della prostata. Un eccessivo ingrossamento prostatico può portare all’occlusione dell’uretra con conseguente blocco urinario. Cio’ non significa necessariamente che la malattia sia maligna, ma anche in caso benigno ci troviamo in una situazione che definire fastidiosa è ben poco.
Un successivo esame del sangue per la valutazione del PSA fornisce un dato ancor più indicativo. Il PSA (Antigene Prostata Specifico) è una proteina prodotta dalla prostata, i cui valori nel sangue sono indicativi di una patologia. A completare il quadro, viene eseguita un risonanza magnetica (generalmente con contrasto) per valutare la presenza e l’estensione del tumore. Per valutare il grado e il livello di rischio venie poi eseguita una biopsia con successivo esame istologico.
In passato le opzioni terapeutiche consistevano prevalentemente nella cosiddetta sorveglianza attiva (valutazioni periodiche di PSA e dimensioni per valutare l’avanzamento della malattia) o nell’asportazione della ghiandola, la prostatectomia radicale. Nel corso degli anni, anche la tecnica chirurgica si è evoluta diventando sempre meno invasiva grazie all’introduzione della laparoscopia o della chirurgia robotica.
Anche le metodiche diagnostiche hanno avuto un’evoluzione tecnologica massiccia. In particolare, le tecniche di imaging diagnostico, sostanzialmente ecografia e risonanza, hanno raggiunto livelli di definizione e precisione via via sempre più elevati. Questo ha permesso di scovare tumori allo stato precoce, spesso limitati a porzioni della prostata e non diffusi in tutta la ghiandola.
Nuove apparecchiature hanno permesso all’urologo di effettuare biopsie sempre più mirate per delimitare in maniera precisa la porzione della ghiandola affetta dalla malattia. La biopsia consiste nel prelievo di tessuto attraverso un ago sottile, inserito attraverso il pube, il tutto sotto guida ecografica. Con la sonda viene inquadrata la zona che d’interesse e poi si segue il percorso dell’ago fino al punto dove fare il prelievo. Il tutto viene realizzato sotto anestesia locale e lieve sedazione.
La novità sta nel fatto che questi nuovi dispositivi guidano il medico verso il bersaglio, utilizzando le immagini della risonanza. Queste vengono sovrapposte a quelle ecografiche affinche’ l’operatore possa riprodurre con la sonda un’immagine uguale a quella della risonanza stessa. Questa metodica è conosciuta come Image Fusion o Fusione di Immagini. Se la biopsia conferma quel che si è visto con la risonanza, ovvero la presenza di tumore solo nella zona sospetta, si può pensare ad un intervento più mirato, meno invasivo e meno “distruttivo”.
La prostatectomia è un intervento chirurgico e, come tale, ha le sue possibili complicanze. Alcune legate al fatto di essere una pratica chirurgica vera e propria (sanguinamenti, infezione della ferita chirurgica, aderenze post operatorie), generalmente risolvibili con terapia mirata, ma piuttosto fastidiose. Altre tipiche dell’intervento in questione. Le più comuni sono incontinenza fecale, incontinenza urinaria e disfunzione erettile. Possono risolversi nel medio periodo, ma anche essere persistenti.
Laddove la malattia sia realmente limitata ad una porzione della prostata si può progettare un intervento mirato. Le metodiche focali permettono il trattamento della sola zona interessata proteggendo le strutture critiche quali uretra, retto e fasci nervosi, preservando così la continenza urinaria e quella fecale.
Dopo anni di accesa discussione tra gli urologi, i centri che, oggi, in Italia, eseguono questo tipo di intervento sono molti. Le tecniche utilizzate sono diverse e tutte valide. Tra queste c’è la crioablazione, attraverso la quale è possibile ghiacciare il tessuto malato utilizzando aghi sottili inseriti direttamente nella prostata. Un’altra metodica piuttosto diffusa è l’HIFU (High Intesity Focused Ultrasound) che utilizza una sonda ecografica transrettale ed ultrasuoni ad alta intensità per “bruciare” le cellule malate.
La minima invasività degli interventi, la breve ospedalizzazione, il recupero più rapido e la minor presenza di effetti collaterali rendono questi approcci alla malattia ancor più validi e perseguibili, sempre secondo il parere dello specialista che valuterà, paziente per paziente, i possibili benefici del trattamento.
A cura di Claudio Galbiati.