Operata per un tumore all’utero, rimane incinta e partorisce una bambina
Una giovane donna originaria di Chieti, ha subìto un intervento finalizzato alla rimozione di un tumore all’utero, che non ha intaccato la sua possibilità di diventare mamma. Infatti, la 28enne, a qualche mese dall’operazione è rimasta incinta. L’intervento è stato eseguito al Policlinico San Martino di Genova grazie alla stretta collaborazione fra specialisti. Generalmente, l’intervento per rimuovere un tumore all’utero prevede l’isterectomia, quindi la rimozione completa dell’organo e perdita totale della fertilità.
Com’è stato possibile rimuovere il tumore, senza asportare completamente l’utero
La ventottenne chietina ha subìto un intervento molto delicato, eseguito solo in pochi centri in Italia. L’intervento eseguito al San Martino, per rimuovere il tumore all’utero, è stato realizzato con approccio chirurgico di tipo conservativo. Tale approccio è stato possibile in quanto la lesione era di dimensione contenuta e non interessava altre strutture anatomiche. A novembre dell’anno scorso, la donna ha comunicato al professore che la seguiva di essere incinta e, due mesi dopo, si è sottoposta a un piccolo intervento per chiudere completamente lo sbocco uterino nella vagina, in modo da prevenire eventuali infezioni.
Le parole del chirurgo che eseguito l’intervento
Il professore di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Genova, Dr Sergio Costantini, ha eseguito l’intervento di trachelectomia radicale (ovvero l’asportazione della cervice uterina, del tessuto circostante e della parte superiore della vagina). Il dottore ha spiegato come è avvenuto nello specifico l’intervento di rimozione del tumore all’utero.
“L’operazione consiste inizialmente nella rimozione dei linfonodi pelvici o, se indicato, nella valutazione dei linfonodi sentinella per via mininvasiva laparoscopica. Quest’ultima tecnica permette di valutare se il tumore si è diffuso ai linfonodi senza asportare integralmente la catena linfonodale, evitando possibili sequele postoperatorie, come l’edema linfatico agli arti inferiori (cioè un eccessivo accumulo, nei tessuti dell’organismo, del liquido che circola nei vasi linfatici). L’intervento si completa con la rimozione della cervice e tessuti limitrofi, con una tecnica ad elevata complessità che necessita di un tempo chirurgico in cui si pratica un cerchiaggio cervicale.”. Quest’ultimo è un intervento chirurgico che si realizza bendando il collo dell’utero per contenere la gravidanza e prevenire un parto pretermine, ridurre drasticamente il rischio di aborto e infezioni in una successiva gravidanza. “Si deve in ogni caso tenere in conto che qualunque gravidanza ottenuta dopo questo approccio chirurgico dovrebbe essere considerata ad alto rischio“.
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La nascita della bambina nonostante l’intervento di rimozione
L’itervento di rimozione del tumore al collo dell’utero, avvenuto pochi mesi prima che la giovane donna rimanesse incinta, è riuscito brillantemente. La bimba, Viola, è nata con parto cesareo nell’ospedale di Chieti, grazie alla collaborazione tra il Dr Costantini, che ha continuato a seguire il caso, e l’équipe del “SS. Annunziata” diretta da Marco Liberati. L’intervento per far nascere la bimba è stato effettuato dal dottor Danilo Buca nel reparto di ginecologica diretto dal professor Marco Liberati.
Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha espresso tutto il suo orgoglio, condividendo la notizia sui suoi canali social. “Con un tumore all’utero che metteva a rischio la sua vita, diventare mamma per una 28enne di Chieti era un sogno irrealizzabile. Finché non è arrivata all’ospedale San Martino di Genova. Qui il ginecologo Costantini ha realizzato un piccolo grande miracolo: con un’operazione mirata, che solo lui e pochi medici al mondo sanno eseguire, ha tolto il tumore riuscendo a salvarle l’utero oltre alla vita”, aveva scritto Toti, poche ore prima del parto. Ringraziando i professionisti sanitari della sua Regione, Toti aveva concluso facendo i propri auguri di “buona vita a questa nuova famiglia che sta per nascere!”.
Trattamento del tumore all’utero
Oggi, le pazienti alle quali viene diagnosticato il tumore all’utero hanno un’elevata probabilità di sopravvivenza. In linea di massima, si può affermare che la sopravvivenza a 5 anni nelle pazienti sottoposte a trattamento chirurgico è la seguente:
- 100% allo stadio 0
- 72-98% per lo stadio I
- 30-75% per lo stadio II
- 15-60% per lo stadio III
- 3-10% per lo stadio IV
La terapia scelta per il cancro dell’endometrio è quella chirurgica. Questa neoplasia, infatti, non è molto sensibile alla radioterapia.
Stadio I
Allo stadio I viene effettuata una semplice asportazione dell’utero (isterectomia) attraverso la via vaginale o la laparotomia, con asportazione anche delle ovaie, delle tube e di un pezzo di vagina di circa 2 centimetri.
Stadio II
Allo stadio II, quando il tumore si è esteso al collo dell’utero, prima dell’intervento chirurgico viene effettuata una radioterapia all’interno di utero e vagina (endocavitaria) a dosi piene. Dopo sei settimane si effettua l’intervento, che consiste in un’isterectomia radicale con asportazione bilaterale di ovaie, tube e linfonodi. Se le i linfonodi risultano interessati dalle metastasi, l’operazione è seguita da una radioterapia post-chirurgica della pelvi più una chemioterapia.
Stadio III
Allo stadio III, il cancro è, ormai, uscito dall’utero, ma è ancora confinato alle ovaie e/o alla vagina e/o vi sono metastasi ai linfonodi. Si eseguono, in ordine, una radioterapia prima esterna, poi endocavitaria e, dopo 6 settimane, l’intervento chirurgico, seguiti da una radioterapia e da una chemioterapia post-opertorie.
Stadio IV
Lo stadio IV, che fortunatamente viene diagnosticato piuttosto raramente, può esseree trattato con diverse terapie. Si può effettuare da sola la radioterapia endocavitaria uterina e vaginale, che ha lo scopo unicamente di ridurre il dolore ed i sanguinamenti vaginali. In più, molte di queste pazienti possono essere trattate con una chemioterapia aggressiva e/o con alte dosi di progesterone. Nessuno di questi trattamenti, purtroppo, può portare alla completa guarigione della malattia, ma soltanto ad una riduzione del dolore e ad un aumento di sopravvivenza.