Medicina

L’uva delle Cinque Terre: una possibile svolta per la malattia di Parkinson

Ancora una volta la natura torna a sorprenderci con la sua generosità e le sue infinite potenzialità. I suoi doni sono riconosciuti da sempre come necessari al nostro sostentamento e appaganti, ma più il tempo passa e più li scopriamo essere davvero preziosi, anche in ambiti a cui non avremmo mai pensato. Ne è un esempio la recente ricerca condotta dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) che ha portato a risultati promettenti nell’uso delle sostanze antiossidanti presenti nell’uva per la cura del morbo di Parkinson, aprendo le porte a notevoli sviluppi futuri e riaccendendo le speranze delle persone affette.

Cosa è la malattia di Parkinson

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che coinvolge i gangli della base, strutture situate in profondità del cervello deputate principalmente al controllo dell’esecuzione dei movimenti e della postura. La malattia si manifesta con tremori, rigidità muscolare, difficoltà nei movimenti e nel mantenimento dell’equilibrio e della postura. Il morbo di Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa dopo quello di Alzheimer, riguarda infatti 1 persona su 250 sopra i 40 anni e 1 persona su 10 sopra gli 80. La diagnosi avviene con l’analisi post mortem di campioni istologici. Possono essere di aiuto anche alcuni esami di diagnostica per immagini o l’esame obiettivo in cui si chiede al paziente di eseguire alcuni movimenti.

Le cause della malattia non sono ancora del tutto note, ma si pensa che siano coinvolti fattori ambientali e genetici. Inoltre, non si conosce una cura in grado di arrestare la progressione della patologia, ma si agisce con diversi trattamenti che coinvolgono vari specialisti (neurologi, infermieri, logopedisti, fisioterapisti) per tenere sotto controllo i sintomi. Attualmente sono in corso numerosi studi per capire meglio le cause della malattia, per attenzionarne la prevenzione, per trovare cure più efficaci e tecniche innovative di neurotrapianto di sostanza grigia fetale.

La ricerca dell’IIT e il potere dell’uva contro il Parkinson

Il promettente studio sul potere dell’uva contro il Parkinson è frutto del lavoro dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), centro di ricerca scientifica nato tra il 2006 e il 2009, con sede principale a Genova. In particolare, gli autori dello studio fanno parte del gruppo Smart-Bio Interfaces, coordinato dal ricercatore Gianni Ciofani. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica inglese Biomaterials Science, è partita dalle note proprietà antiossidanti dell’uva. Gli studi sono stati fatti in vitro su cellule neuronali trattate con rotenone per simulare gli effetti del Parkinson. Si è visto che queste cellule, utilizzando le sostanze estratte dall’uva con tecniche di nanomedicina, dimostravano quantità minori di una specifica proteina che si accumula nella malattia del Parkinson. I ricercatori hanno messo a punto una tecnica di estrazione di polifenoli dagli scarti della vinificazione delle Cinque Terre, a partire dall’idea del ricercatore Gianni Ciofani, originario di Monterosso, nata guardando uno zio mentre vinificava.

Perché proprio l’uva delle Cinque Terre per combattere il Parkinson?

L’uva delle Cinque Terre si differenzia da quelle prodotte in altre aree della penisola per la presenza di particolari polifenoli e per la ricchezza di sostanze antiossidanti, che possono essere utili nella cura del Parkinson. Queste caratteristiche si devono alle condizioni ambientali tipiche del territorio.

Sviluppi futuri per la cura del Parkinson

I risultati favorevoli di questa ricerca potrebbero portare ad un nuovo trattamento per la malattia del Parkinson. Per arrivare a questo, sarà necessaria una fase di test in vivo per la quale servono ulteriori collaborazioni e finanziamenti. Nel frattempo, i ricercatori stanno portando l’utilizzo di queste sostanze anche in ambito cosmetico, oltre che farmaceutico. Adesso non resta che sperare che ci siano gli interessi, e dunque i finanziamenti, per portare avanti questi risultati promettenti, così da mettere a frutto ciò che finora è stato scoperto e traslarlo dal mondo della ricerca alla clinica.

Non si può sprecare la possibilità che questo studio possa davvero essere il punto di partenza per una svolta nella qualità della vita delle tante persone affette da questa complessa malattia. Come spesso accade, la soluzione ci viene offerta dalla natura, ma messa a punto e resa attuabile grazie all’uso delle nuove tecnologie sviluppate dall’uomo. Questo è un esempio virtuoso del rapporto tra natura e progresso scientifico, in cui l’uomo con le sue invenzioni tecnologiche non si allontana dalla natura bensì riscopre e valorizza ciò che essa ha da offrirgli.

Articolo a cura di Elisa Maria Fiorino

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