I primi risultati del vaccino russo Gam-COVID-Vac, meglio noto come Sputnik V, sembrano smentire l’iniziale scetticismo della comunità scientifica. Lo studio realizzato dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica N. F. Gamaleja di Mosca è stato pubblicato sulla rivista The Lancet lo scorso 2 febbraio, mostrando un’efficacia superiore al 91% nel prevenire la malattia sintomatica Covid-19.
A differenza dei vaccini a mRNA sviluppati da Moderna e Pfizer-BioNTech, il vaccino russo Sputnik V contro il coronavirus utilizza una tecnologia con vettore virale. L’obiettivo rimane lo stesso: innescare la produzione di anticorpi contro la proteina Spike del coronavirus SARS-CoV-2. Tuttavia, cambia il metodo utilizzato per scatenare la risposta del sistema immunitario. Il vaccino è composto da due parti: un adenovirus umano ricombinante (il vettore) e un pezzetto di DNA all’interno di esso che andrà a produrre la proteina Spike. Gli adenovirus costituiscono una famiglia di virus a DNA senza rivestimento lipidico; quelli ricombinanti sono ampiamente utilizzati come vettori per i vaccini perché possono contenere una grande quantità di materiale genetico. I vettori vengono modificati in modo da non replicarsi e quindi non scatenare l’infezione. Essi entrano nella cellula ospite ed esprimono la proteina prima che il loro ciclo vitale sia terminato. Le cellule infette vengono così distrutte dalle stesse difese immunitarie appena generate.
Sputnik V non è l’unico vaccino con vettore virale in uso contro il coronavirus, ma anche Oxford-AstraZeneca e Johnson & Johnson sfruttano questa tecnica. Il carattere distintivo del vaccino russo è l’utilizzo di due diversi vettori tra la prima e la seconda dose. Nella prima iniezione viene inoculato l’adenovirus Ad26, mentre nella seconda, a distanza di 21 giorni, l’Ad5. Questa combinazione è stata pensata per evitare che dopo la prima dose di vaccino il corpo produca anticorpi contro quel virus attenuato, portando di conseguenza ad una riduzione dell’efficacia.
Sputnik V è l’unico vaccino contro il Covid-19 basato su questo tipo di approccio: Oxford-AstraZeneca utilizza un adenovirus di scimpanzé per entrambe le dosi, il ChAdOx, mentre Johnson & Johnson usa solamente Ad26. La domanda che si pone ora la comunità scientifica è se la combinazione di due diverse entità tra una somministrazione e l’altra possa rendere il vaccino più efficace.
La fase 3 di sperimentazione, i cui risultati sono ripostati sulla rivista The Lancet, ha visto più di 20mila partecipanti. Di questi, 16mila hanno ricevuto le due dosi e circa 5mila il placebo. Durante le indagini è stata usata una forma liquida del vaccino, conservata a -18 °C. Con solamente 16 positivi al Covid-19 nel gruppo dei vaccinati e 62 positivi in quello ricevente il placebo, Sputnik V ha conquistato gli scenari internazionali nella corsa dei vaccini. L’efficacia stimata è infatti del 91,6%, un valore molto promettente nel proteggere dall’infezione.
Anche gli effetti collaterali riscontrati fino ad ora non destano preoccupazione. Le reazioni particolarmente gravi, che richiedono quindi ospedalizzazione, sono state registrate in 23 casi su 5435 nel gruppo del placebo e 45 su 16.427 nel gruppo del vaccino. Fortunatamente, nessuna di queste è dovuta al farmaco. La maggior parte degli effetti collaterali sono di lieve entità, esattamente come negli altri vaccini.
Il vaccino russo è già stato adottato in molti paesi dell’America Latina e in Ungheria. Gli ultimi risultati hanno confermato l’efficacia di Sputnik V, smentendo i primi dubbi dovuti alla fretta inziale e alla mancata trasparenza nella produzione. Basti pensare a come è stato annunciato il vaccino lo scorso agosto dal presidente russo Vladimir Putin: egli decise di far iniettare una dose alla figlia, mostrando al mondo la sua sicurezza prima ancora che venisse testata. Quello che fece discutere fu la strumentalizzazione del vaccino come arma politica piuttosto che sanitaria, facendo passare in secondo piano la potenza di uno strumento in grado di salvare vite umane. Ma ora le cose stanno diversamente, e l’Unione Europea si sta mettendo in prima linea per collaborare nella produzione del vaccino. Non resta che attendere l’approvazione dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA).