Si parla spesso di osteoporosi e carenza di vitamina D, ma attenzione a non confondere le due patologie soprattutto in età pediatrica. La vitamina D svolge un ruolo essenziale nella regolazione del metabolismo fosfo – calcico. Sia il fosforo che il calcio sono componenti fondamentali per la crescita, la resistenza e la robustezza dello scheletro. Oltretutto, ha anche il compito di regolare il sistema immunitario che, grazie ad un processo di idrossilazione epatica, raggiunge i diversi organi. Grazie a questi ruoli protagonisti dello sviluppo delle ossa, diviene importante assumere vitamina D già da bambini.
La vitamina D può essere assunta tramite una corretta alimentazione, per circa il 10%, e tramite sintesi endogena cutanea per esposizione ai raggi solari per il 90%-95%.
Ovviamente, l’esposizione ai raggi solari è influenzata sia da fattori ambientali come le stagioni, la latitudine, gli indumenti, gli schermi solari (le protezioni solari superiori a 15 riducono la sintesi endogena); ma anche da fattori individuali come lo stile di vita (ridotta attività fisica, obesità, sedentarismo), patologie (metaboliche, cardiovascolari, ecc.), la pigmentazione della cute, mancato approvvigionamento di fosforo (ad esempio il corpo richiede un elevato consumo di fosforo nel primo anno di vita di crescita della statura) e carenza di calcio.
Dal 2007 al 2015, è stato rilevato che il 75% dei bambini provenienti dal Nord Italia presentano problematiche associate ad una carenza di vitamina D, rispetto ai bambini del Sud Italia. Ciò è giustificato dal fatto che il clima e l’irradiazione solare sono più favorevoli per una intensa produzione di vitamina D da parte dell’organismo, accompagnata da una alimentazione mediterranea ricca di nutrienti.
Ad oggi, diverse società si sono interrogate su quali siano i normali valori di vitamina D in età pediatrica. Ad esempio, la Società Italiana di Endocrinologia in accordo con la Federazione Italiana Medici Pediatrici sostengono che i valori normali dovrebbero essere >= 30ng/ml. Ma l’argomento è ancora oggi molto dibattuto, soprattutto in alcune specifiche tappe di vita.
Nel primo anno di età del neonato possono essere diverse le cause di carenza di vitamina D e la più importante è legata all’allattamento: in questa fase di vita le scorte di vitamina sono direttamente proporzionali allo stato vitaminico materno. Infatti, nel momento in cui un neonato assume un latte materno con circa 50unità/L di vitamina D, sicuramente presenta un notevole deficit che andrebbe integrato con unità/L aggiuntive. In più, in genere i genitori tendono a proteggere il lattante dalla luce solare, mentre sarebbe bene esporlo, per quanto possibile, ai raggi solari in modo da incentivare e sviluppare la sintesi endogena cutanea.
Nel primo anno di vita la velocità di crescita staturale è particolarmente elevata, pertanto è importante accompagnare lo sviluppo dell’osso facendo attenzione non solo alla vitamina D, ma anche all’assunzione di fosforo e calcio. Ciò è bene anche per la prevenzione al rachitismo. Nel momento dello svezzamento il livello di vitamina D si riduce ancora di più, pertanto spesso si ricorre alla somministrazione di gocce giornaliere ricche di vitamina D2 e vitamina D3 per integrare la carenza.
Ciò che succede dopo il primo anno di vita e su quali siano i valori adeguati di vitamina D da assumere sono argomento di attuali discussioni dalle diverse associazioni. Alcune società scientifiche consigliano una profilassi di vitamina D solo nei soggetti con fattori di rischio, per ridotta esposizione solare si consiglia una profilassi da Novembre ad Aprile e per condizioni patologiche permanenti si consiglia la profilassi per tutto l’anno. Altre società raccomandano una profilassi continuativa anche nei soggetti sani, in particolare nel periodo adolescenziale.
La carenza di vitamina D è presente anche nelle cause di alcune patologie gravi come le dermatiti atipiche, patologie allergiche ed intolleranze alimentari (studi attuali sono concentrati sui livelli di vitamina D di popolazioni pediatriche con celiachia), diabete, obesità e sindrome metabolica. Ad oggi sono in studio anche le correlazioni tra carenza di vitamina D e patologie legate alle infezioni respiratorie, asma, ecc. Le metanalisi dei dati presentano correlazioni con carenze di vitamina D, ma al momento non sono indicati dai medici supplementi di vitamina D nelle terapie.
Ancora oggi si fa confusione sulla terminologia corretta da utilizzare quando si parla dello stato di densità mineraria ossea del bambino. Ciò è dovuto al fatto che spesso si confonde una carenza di vitamina D con osteoporosi.
Si parla di osteoporosi pediatrica se e solo se è presente nella storia del piccolo paziente almeno una frattura vertebrale da fragilità o di fratture delle ossa lunghe dovute a una carenza di densità minerale diagnosticata con la DEXA, in siti scheletrici dedicati.
Lo studio dell’osteoporosi in età adulta e geriatrica è molto trattata per valutare la resistenza del tessuto osseo correlato a indici di predizione del rischio di fratture. Anche se l’osteoporosi è considerata la patologia dell’invecchiamento, esistono alcune forme primitive e secondarie ad altre condizioni croniche o a trattamenti farmacologici, che rendono l’osteoporosi un problema comune anche nell’età evolutiva.
La formazione di uno scheletro resistente in età adulta viene raggiunto ai 30 anni (massimo bone peack). Non a caso la comparsa di un deficit quantitativo e/o qualitativo dell’osso durante l’età evolutiva espone il bambino a un maggior rischio di fratture sia durante la crescita, sia ponendo le condizioni di una fragilità scheletrica nell’età adulta.
Alcune condizioni che si manifestano in età pediatrica, come fattori biomeccanici e nutrizionali, possono compromettere il raggiungimento del corretto picco di resistenza scheletrica o determinare la perdita di tessuto osseo, aumentando il rischio di fratture da fragilità.
I valori di T-score, così come i termini di ‘osteopenia’ ed ‘osteoporosi’ non dovrebbero essere usati nella valutazione densitometrica pediatrica, ma ‘Ridotta massa ossea‘ o ‘densità mineraria ossea’ è la terminologia da preferire nella DEXA pediatrica quando i valori di Z-score sono uguali o inferiori a -2,0DS.
Il valore di RBMD ( Real Bone Mineral Density, g/cm2), calcolato dalla DEXA, è bidimensionale per l’impossibilità di valutare lo spessore osseo e può condurre a stime alterate della BMD. Ciò comporta un rischio di sovrastimare la densità ossea in pazienti con segmenti ossei più lunghi e sottostimare in pazienti con segmenti più corti. Contrariamente le TC forniscono una valutazione tridimensionale della densità ossea (Volumetric BMD) fornendo una stima più accurata del contenuto osseo e informazioni sulla geometria strutturale e sulla resistenza biomeccanica.
Una metodica che in questi ultimi anni ha avuto un interesse sempre maggiore in pediatria, data l’assenza dell’uso di radazioni ionizzanti, è la densitometria ossea ad ultrasuoni (QUS, Quantitative Ultrasound). Le tecniche ad ultrasuoni si basano sul grado di attenuazione (BUA, Broadband ultrasound Attenuation) o sulla velocità degli ultrasuoni (SOS, Speed of Sound) durante l’attraversamento in senso trasverso del segmento osseo in esame.
Sono disponibili i valori di riferimento per le misurazioni a livello delle falangi della mano, del calcagno, della tibia e del radio per le varie fasce di età dall’infanzia all’adolescenza, ma i valori di riferimento ottenuti nella popolazione italiana sono attualmente disponibili soltanto per l’ultrasonografia ossea falangea.