Ne abbiamo sentito parlare a lungo nell’ultimo periodo proprio in relazione ai vaccini contro il Coronavirus. Gli adenovirus sono, infatti, uno dei principali componenti dei vaccini a vettore virale: Astrazeneca, Johnson & Johnson e, in una forma diversa, anche di Sputnik. Di questi, L’Aifa, l’agenzia italiana del Farmaco, ha autorizzato Vaxzevria, quello di Astrazeneca, e Vaccine Janssen, quello di Johnson & Johnson. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a molti avvenimenti che hanno visto come protagonisti proprio i vaccini a vettore virale: rallentamenti, temporanea sospensione nel caso di Astrazeneca in seguito ad alcuni casi di trombosi, limitazione d’età nella somministrazione. Alcuni studi stanno cercando di trovare una correlazione tra gli adenovirus e la comparsa di trombosi. Ma cosa sono effettivamente gli adenovirus?
Il termine adenovirus si riferisce a una famiglia di virus con cui si può venire in contatto nel corso della vita e che è responsabile di una vasta gamma di sintomi molto simili all’influenza, tra cui febbre, infiammazione delle vie respiratorie e dell’apparato digerente, e altri tipi di infezione.
Questo gruppo di virus è stato scoperto negli anni ’50, quando il virologo Wallace Rowe e i suoi colleghi hanno identificato e isolato un virus, causa del processo degenerativo di colture cellulari derivate da adenoidi umane. Proprio per questo, questa nuova classe di virus prende il nome di Adenoviridae. Qualche anno dopo, nel 1962, John Trentin ei suoi colleghi hanno dimostrato che l’adenovirus umano di tipo 12 provocava il cancro in criceti da laboratorio. Questa è stata la prima dimostrazione di attività oncogenica da parte di un virus umano. Da allora, si sospetta che gli adenovirus inducano il cancro nell’uomo, ma ad oggi non esistono evidenza scientifiche che lo possano provare.
Gli adenovirus sono molto piccoli: in una scala di ordine di gradezza la loro dimensione si aggira intorno a 65-90 nm. Essi sono definiti virus a DNA e rientrano nella categoria dei “virus nudi”, ovvero di quei virus privi di involucro lipidico. Infatti, la struttura proteica che racchiude il genoma del virus prende il nome di capside. Esso rappresenta a tutti gli effetti una sorta di guscio protettivo per il materiale genetico virale racchiuso al suo interno.
Caratterizzati da una simmetria icosaedrica, gli adenovirus sono formati da 240 capsomeri, unità strutturale del capside, che si uniscono e organizzano a formare una struttura poliedrica regolare con 12 vertici (pentoni) e 12 fibre. Queste ultime sono dei componenti indispensabili al virus per attecchire alla cellula bersaglio e consentono al virus di svolgere la sua attività citotossica.
Come avviene l’attacco alla cellula ospite?
L’adesione alla cellula bersaglio avviene attraverso l’interazione delle fibre virali e dei pentoni con la superficie cellulare. Il virus riesce quindi a farsi internalizzare dalle cellule e, una volta al loro interno, lisa la vescicola, si libera del capside e rilascia il DNA nel nucleo, dando il via alla replicazione del suo genoma. Terminati il processo di sintesi delle proteine virali e di replicazione, i nuovi virioni vengono assemblati e vengono rilasciati all’esterno, liberi di infettare nuove cellule.
Gli adenovirus si diffondono solitamente da una persona infetta ad altri attraverso:
Tendenzialmente gli adenovirus causano sintomi molto simili a quelli dell’influenza e, in persone immunocompetenti, la sintomatologia si può considerare lieve. Alcune persone possono anche avere un decorso del tutto asintomatico. Al contrario, in persone immunocompromesse l’infezione da adenovirus può essere causa di infezioni molto gravi.
La maggior parte delle infezioni sintomatiche si verificano nei bambini e causano spesso febbre e infezioni delle vie respiratorie superiori (faringite, otite, tosse e tonsillite). Tra gli altri sintomi ci sono la congiuntivite, infezioni gastrointestinali, infezioni dell’apparato genito-urinario. Più raramente possono essere colpiti fegato (insufficienza epatica), cuore (endocardite) e sistema nervoso (meningite).
Attraverso la classificazione dei sintomi è possibile diagnosticare l’infezione da adenovirus. In alternativa, esistono dei test sierologici che possono aiutare nella diagnosi. Per quanto riguarda il trattamento, non esiste una terapia specifica. Quella che viene tendenzialmente utilizzata è più che altro di sostegno, volta ad alleviare il fastidio dei singoli sintomi. Molte volte infatti è sufficiente il riposo a letto per dare tempo al nostro corpo di contrastare ed eradicare l’infezione.
Lo studio e la conoscenza sempre più approndita del funzionamento di questi virus e il parallelo sviluppo delle biotecnologie ha permesso di sfruttare gli adenovirus come strumento terapeutico nella cosiddetta terapia genica.
La terapia genica è quel filone di ricerca che si pone come obiettivo si curare malattie genetiche, sostituendo un gene difettoso, oppure aggiungendo uno o più geni che possano mettere in moto un meccanismo utile alla cura. Per riuscire in questo obiettivo, è necessario utilizzare dei vettori efficaci per introdurre questi geni all’interno delle cellule desiderate. Tra i vettori virali si distinguono: i retrovirus, i lentivirus (sottocategoria dei lentivirus), gli adenovirus, i virus adenoassociati e gli herpesvirus. Ogni tipologia ha una capacità ed efficienza diversa a seconda del tipo di cellula e dell’organo selezionato come bersaglio.
Ma l’utilizzo di virus come vettore nella terapia genica non è pericoloso per l’uomo?
Gli adenovirus utilizzati come vettori virali sono largamente diffusi perché i geni necessari per la replicazione virale possono essere facilmente sostituiti da DNA esogeno di interesse. La loro grande capacità di trasportare informazioni all’interno della cellula li ha resi molto interessanti per questo tipo ti applicazione. Tuttavia, la scelta di utilizzare dei virus come vettori virali non è stata facile: gli scenziati hanno dovuto trovare un metodo efficace per riuscire a minimizzare i potenziali effetti patogeni del virus, l’immunogenicità e il rischio di possibili ricombinazioni omologhe e tossicità. Eliminando la regione del DNA che innesca la trascrizione della maggior parte delle proteine virali, si è riusciti ad ottenere un vettore privo di quella parte del suo genoma in grado di infettare nuove cellule. Il virus reso “innocuo” per il nostro organismo fornisce quindi uno strumento con altissime potenzialità per il trasferimento di un gene alle cellule del nostro corpo.
L’entusiasmo per la terapia genica ha fatto sì che moltissime risorse fossero investite in questo settore. Numerosi studi sono stati condotti sul trasferimento di geni nell’uomo. Tra questi un esempio è quello realizzato per il trattamento della Fibrosi cistica, una malattia genetica dovuta ad un’alterazione del trasporto di cloro attraverso la membrana cellulare. A causare questa alterazione è una disfunzione della proteina CFTR. In questo caso, gli adenovirus sono stati impiegati come vettore virale per rilasciare nelle cellule di interesse la copia del gene sano che codifica per quella proteina.
Nonostante i vettori virali si siano dimostati sicuri e ben tollerati, ci sono ancora molti problemi da risolvere legati al loro utilizzo. Un aspetto è, ad esempio, quello legato alla risposta immunitaria dell’ospite che può neutralizzare il vettore prima ancora che infetti le cellule e vi traferisca il suo contenuto. Sebbene nella maggior parte dei casi la risposta immunitaria della cellula ospite si limiti a ditruggere il virus senza creare ulteriori effetti, nei casi peggiori può provocare degli effetti collaterali anche molto gravi.
Nonostante questi numerosi ostacoli, molte aziende credono fortemente nelle potenzialità della terapia genica e tantissime risorse vengono stanziate proprio per preseguire in questa direzione, con l’obiettivo di trovare nuove soluzioni per rendere questi vettori meno tossici e più sicuri per la clinica.