“L’influenza di stagione, che dura circa 2-3 mesi all’anno, si trasmette esattamente come il coronavirus, ma le analogie finiscono qui.” Afferma Roberto Burioni, medico, accademico e divulgatore scientifico italiano.
Queste le parole di Roberto Burioni, noto medico, accademico e divulgatore scientifico italiano, attivo come ricercatore nel campo relativo allo sviluppo di anticorpi monoclonali umani contro agenti infettivi, che con un video pubblicato su Medical Facts , magazine online di informazione scientifica e debunking delle fake news, con la direzione scientifica dello stesso Burioni, spiega le analogie e le differenze tra i due virus, per fare chiarezza.
Entrambi sono virus che danno una sindrome respiratoria, con sintomi iniziali molto simili, identica via di trasmissione e potenzialità di contagio, attraverso starnuti, colpi di tosse e soprattutto attraverso le mani, che costituiscono un importante veicolo di trasmissione: “ Supponiamo che un soggetto malato tossisca portandosi la mano davanti alla bocca, inevitabilmente si sporca la mano, che andrà poi a toccare oggetti comuni di un luogo pubblico, una maniglia o il pulsante dell’ascensore, che a sua volta può essere toccato da un soggetto sano, il quale portandosi distrattamente le mani in bocca potrebbe essere contaminato dal virus”. Da qui l’importanza di igienizzare le mani con prodotti disinfettanti a base di alcol, come l’amuchina.
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La prima differenza, quella più importante, è che il virus dell’influenza che ci colpisce ogni anno non è un virus nuovo. L’influenza ha una caratteristica: ogni anno arriva tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, in cui si registra il picco dei contagi, persiste per un paio di mesi e va via nel mese di marzo. Proprio per questo prende il nome di influenza, perché anticamente si pensava che queste malattie che ritornavano ogni anno nello stesso periodo fossero dovute all’influenza delle stelle e non ad un patogeno, dunque l’errore è rimasto nel nome.
Come fa a tornare ogni anno? Quello che permette il ritorno del virus è la sua mutazione. Difatti il virus dell’influenza è ogni anno diverso, a differenza, ad esempio, del virus del morbillo che ogni anno è lo stesso. Ciò significa che l’immunità che noi abbiamo nei confronti di questo virus, anche se siamo già stati infettati l’anno precedente, non è completa. La mutazione del virus da un anno a quello successivo può essere lieve e in questo caso troverà dei soggetti con un alto grado di immunità, che consentirà di contenere l’epidemia, con una minore gravità dei casi di infezione, oppure notevole, e in questo caso incontrerà soggetti con un basso grado di immunità, portando conseguenze più gravi nei soggetti più deboli, con un minor contenimento dell’epidemia.
Tuttavia, è importante sottolineare che per quanto possa mutare il virus influenzale di anno in anno, si tratta sempre di una variante di un virus nei confronti del quale abbiamo sviluppato una certa immunità, che ci permette di avere un certo grado di protezione: questa protezione individuale non è uguale in tutti i soggetti, alcuni rispondono in maniera più ampia ai virus influenzali contagiandosi raramente, altri invece rispondono con anticorpi meno potenti e si ammalano ogni anno, ma in ogni caso, come afferma lo stesso Burioni, tale immunità esiste in ogni persona. La prima grande differenza tra il nuovo coronavirus e l’influenza è proprio relativa a questo aspetto: difatti nei confronti del Covid-19 non abbiamo alcuna immunità. Questo conferisce al Covid-19 la potenzialità di circolare maggiormente rispetto all’influenza, infettando un maggior numero di persone.
Una seconda grande differenza consiste nel fatto che per l’influenza esiste un vaccino, che viene preparato ogni anno: solitamente a gennaio si prevede quali ceppi circoleranno, si prepara il vaccino e a novembre dello stesso anno ci si può vaccinare. Questo consente un ulteriore grado di protezione, ovvero aumenta la protezione della popolazione nei confronti del virus influenzale e ne diminuisce e ostacola la circolazione. Nel caso del coronavirus il vaccino non è ancora disponibile, così come non ci sono contro di esso attualmente dei farmaci efficaci, dei quali invece disponiamo nel caso dell’influenza.
Vi è un’ultima e forse più preoccupante differenza, per introdurre la quale è necessario fare una premessa. I virus respiratori sono tanto più gravi quanto più scendono in profondità nell’apparato respiratorio. Il più lieve è il raffreddore, che rimane confinato nel naso. Il virus dell’influenza, invece, può scendere fino alla trachea e ai bronchi, per cui le complicazioni solite sono tracheite e bronchite; inoltre esso può causare la distruzione dello strato di protezione che riveste la trachea e i bronchi, costituito da piccole ciglia che spostano verso l’esterno un muco che intrappola i batteri. Conseguentemente il paziente che è stato colpito da virus influenzale, dopo esser guarito da quest’ultimo, è particolarmente soggetto a infezioni batteriche (nei casi più gravi polmoniti) che comunque si possono curare agevolmente con gli antibiotici. Il decorso è quasi sempre positivo, tranne nei casi di soggetti particolarmente deboli, anziani e con quadri patologici complessi.
Per quanto riguarda il coronavirus, esso ha una caratteristica che lo rende particolarmente pericoloso, perché arriva nei reparti più profondi dell’apparato respiratorio, ovvero gli alveoli, che costituiscono la sede in cui l’organismo acquisisce l’ossigeno dell’aria inalata ed espelle l’anidride carbonica prodotta dall’attività cellulare. Quando il virus va a disturbare gli alveoli si verifica una sindrome molto pericolosa, che prende il nome di polmonite virale primaria.
Quindi, mentre l’influenza causa al più una polmonite secondaria e batterica, che possiamo curare facilmente con gli antibiotici, il coronavirus causa una polmonite virale primaria nei confronti della quale non abbiamo farmaci a disposizione: ciò significa che dobbiamo sperare che il paziente guarisca da solo. Per fortuna nella maggior parte dei casi questo succede, tuttavia in una piccola ma non trascurabile percentuale il paziente non riesce più a respirare e questo porta nei casi più gravi al decesso dello stesso. È dunque necessaria la repentina somministrazione di ossigeno in terapia intensiva. Da qui nascono le problematiche della disponibilità dei posti letto in terapia intensiva nell’eventualità di un’epidemia massiccia.