In un nuovo studio svolto si sono identificati 3 nuovi biomarcatori del cancro alla prostata; questi potrebbero migliorare la visibilità delle cellule tumorali analizzate dai team di patologi per la classificazione della gravità della patologia. Tale scoperta, inoltre, potrebbe aiutare gli specialisti nell’identificazione dei pazienti che necessitano di un trattamento urgente migliorando potenzialmente i risultati delle terapie attuali.
Solo nel 2020 si è diagnosticata tale patologia a più di 1,4 milioni di uomini, si stima che quasi 400 mila di questi siano morti. Si tratta del quarto cancro più comunemente diagnosticato al mondo. I tassi di sopravvivenza per questa tipologia di cancro dipendono da diversi fattori, tra cui: lo stadio, l’età e la salute generale del paziente, oltre alla risposta al trattamento. Solitamente, in circa il 60% dei casi il disturbo è diagnosticato in pazienti con età pari o superiore a 65 anni. Il cancro alla prostata si identifica raramente negli individui di età inferiore ai 40 anni.
Il punteggio di Gleason è un pilastro fondamentale nel determinare il grado del cancro alla prostata. Il patologo durante l’osservazione delle cellule tumorali colorate al microscopio riesce a determinare la quantità di cellule sane (punteggio basso) o di cellule anormali e aggressive (punteggio alto). Questa tipologia di classificazione indica quanto sia probabile che il cancro avanzi e si diffonda. Un cancro con punteggio più basso cresce più lentamente ed è meno probabile che si diffonda rispetto ad uno con punteggio alto.
Il problema con l’utilizzo del punteggio di Gleason è che, questo può essere soggettivo in quanto i punteggi sono assegnati da patologi umani. Infatti, due diversi osservatori possono giungere a conclusioni non uguali. Per tale ragione, risulta fondamentale la determinazione di un modello che definisca in modo oggettivo il grado di cancro alla prostata.
Per superare la limitazione appena descritta, un team di ricercatori ha identificato 3 nuovi biomarcatori; questi possono aiutare nell’identificare e nella differenziare dei casi potenzialmente aggressivi di cancro alla prostata.
Inizialmente, i ricercatori miravano ad utilizzare alterazioni nella biologia cellulare allineate con diversi gradi di cancro alla prostata per migliorare gli attuali metodi diagnostici. Si sono esaminati, nel dettaglio:
Durante lo studio si è rilevato che questi biomarcatori proteici possono consentire ai patologi di visualizzare più caratteristiche nei campioni di tessuto rispetto all’uso della colorazione attuale.
Si sono utilizzati campioni di tessuto donati da 114 uomini con diagnosi di cancro alla prostata tra il 2006 ed il 2014. Tali pazienti hanno subito una prostatectomia radicale, ossia un intervento chirurgico in cui vi è la rimozione totale della ghiandola prostatica e del tessuto circostante. Per ogni paziente, si sono sezionati i campioni di tessuto in 4 sezioni seriali. Si è colorata la prima sezione con metodi tradizionali, in seguito si è inviata ad una commissione di 11 patologi internazionali che hanno assegnato un voto a ciascun paziente. Le restanti sezioni si sono etichettate rispettivamente con i biomarcatori Appl1, Sortilin e Syndecan-1. Ciascuna delle proteine ha evidenziato la presenza di diversi materiali cellulari. Si sono poi presentate le tre sezioni di tessuto agli stessi 11 patologi che hanno assegnato un grado a ciascun paziente.
I ricercatori hanno scoperto che l’utilizzo del pannello di 3 nuovi biomarcatori ha migliorato gli screening prognostici nei pazienti con cancro alla prostata, rispetto ai metodi tradizionali di colorazione dei tessuti. Questo aiuterà a classificare i tumori della prostata per determinare quali pazienti richiedono un trattamento urgente, migliorando i risultati.
Si è rilevato che i biomarcatori sono notevolmente sensibili e specifici nel visualizzare con precisione il progresso del cancro e confermare il suo grado. Questa scoperta porta allo sviluppo commerciale di un test progettato per determinare quanto sia avanzato e aggressivo il cancro e se sia necessario un trattamento immediato. In futuro, aspettando un esito positivo negli studi eseguiti presso gli Stati Uniti, dovrebbero iniziare nuovi studi clinici in Australia.