La ricerca italiana ha ottenuto nuovi e importanti risultati riguardo alla diagnosi e al successivo controllo dell’andamento della celiachia, infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. In un futuro prossimo potrebbe essere più semplice diagnosticare i pazienti celiaci e monitorare la malattia, patologia cronica che accompagna i pazienti per tutta la vita. Il gruppo di ricercatori del Bambino Gesù di Roma, finanziato dall’Associazione Italiana Celiachia (AIC), l’8 febbraio 2022 ha pubblicato i risultati dello studio sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale eBioMedicine – The Lancet.
La celiachia (o malattia celiaca) è un’enteropatia autoimmune multifattoriale, con una prevalenza di circa l’1% a livello mondiale, che presenta un ampio spettro di manifestazioni cliniche, sierologiche e istologiche. L’esposizione al glutine – una complessa miscela di proteine contenute nei cereali come frumento, segale e orzo – causa una reazione infiammatoria che porta all’atrofia dei villi intestinali fino alla loro scomparsa. Ciò interferisce con l’assorbimento delle sostanze nutritive. Può manifestarsi in individui di tutte le età a partire dallo svezzamento. Per la diagnosi di celiachia, l’attuale gold standard è la combinazione di test sierologici e biopsia duodenale e l’unico trattamento efficace conosciuto è una permanente dieta priva di glutine.
“Ad oggi, l’esclusione del glutine dall’alimentazione costituisce l’unica terapia validata per la celiachia. Per monitorare la risposta alla dieta priva di glutine, si è a lungo discusso con i clinici circa la sensibilità e l’accuratezza dei test sierologici che ad oggi vengono utilizzati principalmente per la diagnosi della celiachia” dichiara il titolare del progetto, il dottor Andrea Masotti, ricercatore e coordinatore dello studio.
Finora non è stato scoperto un test diagnostico che escluda totalmente un approccio invasivo e la scoperta di nuovi marcatori biologici rappresenterebbe un indubbio vantaggio per la diagnosi di celiachia e la valutazione prognostica. Pertanto, i clinici dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e altri gruppi di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università Politecnica delle Marche hanno lavorato per sviluppare un metodo che potesse consentire l’identificazione di nuovi biomarcatori per realizzare la base di un nuovo approccio alla diagnosi e al monitoraggio dell’aderenza alla dieta senza glutine da parte dei pazienti.
“Pensiamo che lo studio che abbiamo condotto possa fornire in un futuro non lontano un’alternativa diagnostica che escluda l’utilizzo di analisi strumentali invasive (la gastro-duodenoscopia) nei pazienti, soprattutto nei bambini” prosegue il dottor Masotti. “Un ulteriore beneficio di questo studio è aver individuato un possibile metodo per monitorare l’aderenza alla dieta e dare la possibilità al clinico specialista di valutare più correttamente la strategia terapeutica migliore da adottare caso per caso (medicina personalizzata)”.
I microRNA (miRNA) – le molecole identificate in questa ricerca – sono piccole molecole endogene di RNA non codificante a singolo filamento riscontrate nel trascrittoma di piante, animali e alcuni virus a DNA. Si tratta di polimeri codificati dal DNA nucleare eucariotico lunghi circa 20-22 nucleotidi e principalmente attivi nella regolazione dell’espressione genica a livello trascrizionale e post-trascrizionale.
Il comunicato stampa di AIC riporta in modo chiaro e sintetico i risultati dello studio: “sono stati individuati 13 nuovi biomarcatori microRNA che da soli o in combinazione sono in grado di distinguere il gruppo dei pazienti celiaci neo-diagnosticati e ancora non a dieta senza glutine da quello di pazienti stabili a dieta priva di glutine da almeno due anni. Sono stati individuati in particolare i 3 migliori microRNA con la più alta precisione e accuratezza e sono stati identificati alcuni modelli matematici per utilizzare questi marcatori a livello diagnostico. Tale scoperta ha portato anche al deposito di un brevetto.”
Inoltre, dal comunicato stampa di AIC si legge che l’identificazione di nuovi marcatori circolanti, impiegati per lo studio dell’evoluzione, della diagnosi e della terapia di una patologia è un tema di grande attualità presso la comunità scientifica internazionale, come conferma il lavoro di numerosi gruppi che da anni sviluppano questo filone di ricerca in ambiti che spaziano dall’oncologia alle neuroscienze, e recentemente applicato anche per la celiachia, come dimostra lo studio finanziato da AIC e dalla sua Fondazione. I microRNA circolanti sono infatti tra i biomarcatori di nuova generazione più studiati.
“Auspichiamo di poter applicare questi interessanti risultati su una casistica più ampia di pazienti e di poter individuare i meccanismi biologici alla base dell’insorgenza della malattia. Un ulteriore sviluppo del progetto sarà quello di verificare i microRNA su matrici biologiche più facili da ottenere rispetto al prelievo di sangue, per esempio le urine o le feci, ma contenenti ugualmente efficaci marcatori di patologia” conclude Masotti.
“Il nostro impegno è cresciuto negli anni e rispecchia ciò in cui crediamo: fare ricerca ad impatto sociale e mettere gli studi scientifici direttamente al servizio dei pazienti” dichiara Ivana Losa, Presidente della Fondazione Celiachia. “Fornire un contributo costante e di qualità internazionale per migliorare la salute e la qualità di vita dei pazienti, diffondendo il più possibile i risultati degli studi presso la comunità scientifica italiana e internazionale, la classe medica e l’opinione pubblica rientra nelle nostre finalità istituzionali. Ricordiamo che ancora oggi in Italia abbiamo meno della metà dei celiaci diagnosticati, solo 233 mila, a fronte dei 600 mila attesi in base ai dati epidemiologici consolidati: 1 persona su 100 è celiaca, in Italia e nel mondo. Diagnosticare tutti in modo corretto e precoce, protegge i celiaci dalle gravi complicanze e la collettività dai costi sociali elevati della celiachia non diagnosticata” conclude Ivana Losa.