Articolo a cura di Roberto Maxia.
Il cervello è l’organo umano più complesso e misterioso. La volontà – e necessità – di conoscere sempre più in dettaglio la fisiologia di quest’organo, i suoi meccanismi, le patologie neurodegenerative e i disturbi del neurosviluppo ha portato alla nascita di discipline dedicate come le neuroscienze. È arrivato poi il momento di voler replicare in laboratorio questo organo straordinario per emularne struttura e funzioni ma anche per cercare di riprodurre artificialmente la sua efficienza.
Il cervello è l’organo umano più grande situato all’interno della testa e risulta ben protetto dal cranio. Funge da unità centrale dell’intero organismo, coordinando in modo armonico le varie funzioni di tutti gli organi e gli apparati attraverso il complesso circuito del sistema nervoso. Sotto il profilo puramente anatomico la denominazione corretta non è cervello bensì encefalo, la cui struttura risulta tripartita in cervello vero e proprio, cervelletto e tronco encefalico.
La superficie del cervello è rivestita dalla corteccia cerebrale, la quale contiene circa il 70% dei 100 miliardi di cellule nervose totali e che ha il tipico colore grigio chiaro che viene spesso utilizzato per definire l’intero organo, cioè “materia grigia”. Sotto questa corteccia troviamo gli assoni, prolungamenti dei neuroni che costituiscono la “materia bianca”. La caratteristica struttura a pieghe della corteccia aumenta la superficie totale del cervello e quindi lo spazio disponibile per nuovi neuroni. I due emisferi del cervello cono collegati dal corpo calloso, un fascio di fibre che trasmette le informazioni dall’una all’altra parte. Un’altra caratteristica anatomica del cervello e dei suoi emisferi è quella di essere suddivisi in 4 lobi, ciascuno dei quali è deputato al controllo di più funzioni specifiche.
Le cellule che fanno parte del sistema nervoso e che troviamo nell’encefalo e nel midollo spinale sono chiamate neuroni. Per capire come lavorano queste straordinarie cellule “intelligenti” possiamo partire dalla loro struttura la quale è costituita da un corpo centrale previsto di due tipi di prolungamenti che vanno ad estendersi fuori dal corpo cellulare: i dendriti e gli assoni. I neuroni fanno parte di un sistema intercollegato estremamente raffinato ed efficiente di “messaggeria” istantanea che funziona grazie all’elettricità. Infatti, ciascun neurone comunica con le altre cellule tramite impulsi elettrici che si innescano quando la cellula nervosa viene stimolata. Dal neurone l’input elettrico si sposta toccando la punta degli assoni che a loro volta rilasciano i neurotrasmettitori, composti chimici che di fatto fungono da messaggeri. I neurotrasmettitori passano tra le sinapsi, che sono i punti di contatto tra un neurone e l’altro, e si ”attaccano” ai recettori della cellula ricevente.
Ci sono 100 miliardi di neuroni che costituiscono il cervello e che possono essere considerati come cavi elettrici vivi ed intelligenti, ognuno capace di modulare e processare il segnale che lo attraversa. Si connettono ciascuno a 1000-10000 altri neuroni, fino a dare un numero di possibilità combinatorie enorme, superiore a quello delle particelle atomiche dell’intero universo. Ogni cervello umano è la massima complessità esistente in natura e risulta una sfida aperta da decenni per la scienza. Come tutte le terre di frontiera della conoscenza, la scienza del cervello è studiata da pionieri intrepidi che producono coraggiose teorie, ma presenta ancora enormi distese selvagge e inesplorate, costellate da abissi vertiginosi per la razionalità. È senz’altro un’area di ricerca di assoluta avanguardia e, ad oggi, è quella che riceve i maggiori finanziamenti dopo le biotecnologie mediche e le armi.
Il cervello umano può essere paragonato ad una ”macchina” eccezionale e decisamente più potente di qualsiasi cosa abbia costruito l’essere umano. Sebbene presenti un consumo di soli 20 W, può superare il più veloce e potente supercomputer al mondo. I ricercatori credono che le sue capacità non siano date dalla potenza o dalla velocità di elaborazione di informazioni bensì dall’alta efficienza con cui le stesse vengono elaborate.
Gli scienziati di tutto il mondo stanno cercando di applicare un processo di ingegneria inversa (reverse engineering) per costruire un computer che funzioni in maniera molto simile al cervello umano. C’è un settore emergente chiamato “neuromorphic computing” che ha fissato l’obiettivo di creare un microchip di calcolo a superconduttori che funzionino come i neuroni nel cervello umano. Simile al computer quantico ma con un approccio differente, rappresenterà la nuova era di macchine che potranno essere utilizzate per la risoluzione di problemi estremamente complessi aprendo così ad una nuova era nel modo di pensare all’intelligenza artificiale. Questa idea di neuromorphic computing nasce da Carver Mead, professore emerito della Caltech nonché coniatore della famosa “Legge di Moore”. A differenza dei computer tradizionali, un ”cervello su chip” lavora in maniera analogica, si tratta sostanzialmente di intelligenza artificiale su hardware. Pensando al funzionamento del cervello, gli essere umani ricevono una lunga serie di input multisensoriali in maniera del tutto indiretta, cioè avviene tutto ”in background”. Tutte queste sensazioni vengono intraprese senza pensarci, di fatti il cervello utilizza molta meno potenza di funzionamento di un attuale microchip.
Gli scienziati hanno preso la biologia e l’hanno applicata ad un sistema inorganico da usare per il calcolo. I chip neuromorfici sono dunque processori la cui struttura è ispirata ai neuroni. Scambiano segnali in maniera molto simile ai neuroni che si attivano in vari modi in base al tipo e al numero di ioni che attraversano una sinapsi. In questo modo piccoli chip neuromorfici potrebbero elaborare efficientemente milioni di flussi di calcoli paralleli. Più si avanza con le ricerche più si arriva a progettare software di intelligenza artificiale che imitano sempre meglio il nostro cervello. Ad oggi, tuttavia, ci sono ancora tanti ostacoli prima che tutto questo possa essere messo in commercio, uno degli ostacoli più imponenti per la realizzazione di un ”cervello” micromorfico è quello della creazione a livello hardware di sinapsi neurali.
Dopo tanti studi e confutazioni di teorie, al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dei ricercatori sono riusciti a creare un piccolo chip con sinapsi artificiali in modo da controllare la forza corrente elettrica che fluisce attraverso esse in maniera del tutto simile agli ioni che scorrono tra i neuroni. Lo scenario che si va a prospettare per il futuro è quello di racchiudere la potenza di un supercomputer in un chip piccolo quanto un’unghia. Lo studio, pubblicato su Nature Materials, mostra che questa sinapsi artificiale ha superato un test per l’apprendimento per le reti neurali artificiali riconoscendo un tipo di calligrafia con un’accuratezza del 95%. Il problema che però si vuole risolvere al MIT sta non solo nella scelta dei materiali da utilizzare ma anche nell’architettura stessa della sinapsi che cerca di mimare le connessioni tra neuroni. Finora, nei chip sviluppati per imitare il funzionamento del cervello umano, la sinapsi era costituita da due strati conduttori che erano separati da un materiale amorfo. Le particelle elettricamente cariche venivano usate come messaggeri di dati ma si muovevano in maniera incontrollabile, con scarse performance. Invece, utilizzando un materiale più comune all’industria elettronica, il silicio monocristallino, è stato creato una sorta di imbuto che ha permesso il passaggio di ioni in maniera più controllata. Recentemente anche Intel ha presentato alcuni progetti importanti riguardo a chip neuromorfici, il più riuscito risulta essere “Loihi” che va a mimare il cervello umano per aumentare il calcolo dell’intelligenza artificiale. Questo “cervello” – con dimensioni di 14 nanometri, 130000 neuroni artificiali e 130 milioni di sinapsi artificiali – permette di allenare reti neurali ma può anche apprendere e applicare quanto compreso.
Recentemente alcuni ricercatori dell’Allen Institut for Brain Science a Seattle hanno creato un atlante digitale generale del cervello umano ad accesso pubblico, che è stato pubblicato nel 2016 su ”The Journal of Comparative Neurology”. Questa mappatura consente di zoomare dall’architettura cerebrale generale fino ai più piccoli dettagli neuronali, presentando un dettaglio e una completezza finora mai raggiunti per l’essere umano e si pone come punto di riferimento comune per tutti i neuroscienziati.
Il progetto si è concentrato sul cervello sano di una donna di 34 anni analizzato post mortem. I ricercatori hanno fatto una suddivisione di 2716 sezioni molto sottili per un’analisi cellulare a scala fine. Hanno utilizzato una parte delle sezioni per colorarle con il metodo di Nissl e raccogliere così informazioni sull’architettura generale delle cellule. In seguito, hanno usato anche altre due tecniche di colorazione per marcare selettivamente alcuni aspetti del cervello, fra cui gli elementi strutturali delle cellule, delle fibre nella materia bianca e specifici tipi di neuroni. Successivamente, i ricercatori hanno preso un sottoinsieme delle sezioni marcate con il metodo di Nissl per catalogare 862 diverse strutture cerebrali, tra cui nuove sottoregioni del talamo e dell’amigdala e altre due strutture che in precedenza erano state descritte solamente nei primati non umani. Il passaggio chiave che ha permesso la realizzazione dettagliata di questo atlante completo del cervello è stata la combinazione dei dati di imaging cerebrale su larga scala e ad alta risoluzione con una dettagliata mappatura a livello cellulare. Possiamo asserire che questo lavoro segna un processo sostanziale nella nostra comprensione dell’anatomia cerebrale.
La neuroingegneria si occupa, con le neurotecnologie, dello sviluppo e dell’applicazione di tecnologie avanzate per lo studio del cervello e dell’utilizzo delle conoscenze provenienti dalle neuroscienze per migliorare le tecnologie dell’informazione, della comunicazione e per la diagnosi, prevenzione e terapia di patologie neurologiche. Questo avviene attraverso un approccio ingegneristico allo studio del cervello. Si va, inoltre, a studiare il sistema nervoso a diversi livelli, dai geni ai neuroni fino ai meccanismi comportamentali e cognitivi, in condizioni sia normali che patologiche richiedendo l’aiuto ed il contributo dell’informatica, della robotica, della neuroinformatica, delle micro e nano-tecnologie.
Nel laboratorio di nano-fabbricazione dell’IBM Almaden Research Center, la Dott.ssa Luisa Bozano gestisce due progetti che vanno a collocarsi nell’ambito della sensoristica e riguardano il funzionamento del cervello. Questi progetti multidisciplinari cercano di affrontare due classi di problemi differenti: da una parte lo sviluppo di un naso elettronico intelligente, dall’altra parte troviamo un progetto focalizzato sulla fabbricazione di nuove interfacce bioelettroniche per applicazioni neuroingegneristiche. Quest’ultimo è svolto in collaborazione con due gruppi italiani, il gruppo di Neuroingegneria e Bio-nanotecnologie dell’Università degli studi di Genova che fa capo al professor Sergio Martinoia e il gruppo di Dispositivi Elettronici Avanzati dell’Università di Cagliari della professoressa Annalisa Bonfiglio.
Per affrontare le conoscenze sul funzionamento del cervello e più in particolare del sistema nervoso centrale umano sono necessarie nuove tecnologie. Due tipologie di dispositivi hanno portato ad una comprensione più profonda dei fenomeni legati all’attività cerebrale e all’introduzione di nuovi dispositivi quali le brain machine interfaces ma anche a nuovi approcci sperimentali in vitro basati sullo studio dell’attività elettrica di reti neurali 2D: i Micro Electrode Array (MEA) e l’Ion Sensitive Field Effect Transistor (ISFET).
Lo studio in vitro sui modelli in 2D ha portato a nuove ed interessanti scoperte nell’ambito delle neuroscienze computazionali e ampliato le frontiere della ricerca in ambito farmacologico. Ciò, però, si porta dietro i limiti delle reti neuronali 2D che risultano assai evidenti se si considera la loro estrema semplicità rispetto all’organo di cui costituiscono il modello. Per bypassare questi limiti si è fatto un ulteriore passo avanti con la realizzazione di modelli in 3D, i quali permettono di estendere enormemente la complessità del sistema. Lo studio su modelli in 3D permette di studiare un vero e proprio cervello in vitro e per poterlo fare necessita di dispositivi che permettano lo studio della propagazione dei potenziali d’azione non solo sul piano ma anche nella terza dimensione. È qui che entra in gioco lo studio e l’esperienza nella nano-fabbricazione del sensor-lab dell’IBM e la collaborazione dell’Università degli Studi di Genova. L’approccio che si è utilizzato consiste nella realizzazione di strutture in 3D depositate tramite electron-plating a partire da elettrodi planari con l’ausilio di apposite guide realizzate in corrispondenza degli elettrodi stessi tramite processi fotolitografici. La tecnica permette di realizzare strutture tridimensionali alte fino a oltre 100 micrometri capaci sia di rilevare sia di stimolare l’attività elettrica neuronale a diversi livelli all’interno della coltura cellulare.
L’attività del sensor-lab dell’IBM nell’ambito delle interfacce bioelettroniche non si limita allo sviluppo di queste innovative matrici di elettrodi 3D. In collaborazione con il laboratorio di Dispositivi Elettronici Avanzati dell’Università di Cagliari, infatti, è attualmente in corso la realizzazione di nuovi dispositivi basati su particolari transistor organici per applicazioni elettrofisiologiche in vitro. Il dispositivo cardine di questa nuova categoria di sensori viene chiamato Organic Charge Modulated FET (OCMFET), un versatile sensore di carica sviluppato presso il DEAlab. L’aspetto più interessante di questo dispositivo organico, basato non su semiconduttori cristallini convenzionali ma su particolari materiali semiconduttori costituiti prevalentemente da carbonio, è la sua estrema flessibilità unita alla biocompatibilità ed economicità. La sua particolare struttura a gate flottante fa dell’OCMFET un sensore di carica estremamente sensibile e i parametri che possono essere rilevati dipendono dal modo in cui una particolare zona del dispositivo, chiamata area sensibile, viene fabbricata. Questo fa dell’OCMFET un interessante candidato per la realizzazione di innovative piattaforme multi-sensing per applicazioni elettrofisiologiche sia in vivo che in vitro, capaci di monitorare simultaneamente diversi parametri d’interesse biomedico quali l’attività elettrica cellulare e il pH, ma anche temperatura, stress meccanico e pressione. Il dispositivo attualmente in fase di progettazione e realizzazione, chiamato Micro OCMFET Array (MOA), è realizzato su materiali plastici flessibili e biocompatibili ed è costituito da 56 OCMFET progettati in maniera da unire in un solo substrato sensori di attività elettrica e sensori di pH dedicati al monitoraggio dell’attività metabolica cellulare. Questo è specificatamente progettato per lo studio in vitro di reti neurali, sia 2D che 3D, in quanto si propone come alternativa flessibile ed economica a dispositivi in commercio.
Poter disporre di un modello di cervello in vitro, allo stato delle conoscenze attuali, ci consente di facilitare ed accelerare la ricerca in più ambiti scientifici: il farmacologico, la neuroscienza, la neuroingegneria, la biomedica, ecc. Tuttavia, sappiamo ancora poco, in quanto le varie funzioni cerebrali risultano dinamiche e cambiano su una scala di millisecondi e, anche se si sono fatti enormi passi avanti, le tecniche risultano ancora statiche. Quando si riuscirà a emulare determinate funzioni allora si potrà puntare alla realizzazione di un dispositivo che cambierà le nostre vite.