Medicina

Com’è cambiata la lotta contro il cancro: tra innovazione e ricerca

Secondo uno studio condotto dal programma Global Burden of Disease, la seconda causa di morte a livello globale, dopo i decessi dovuti a problemi cardiovascolari, è il cancro: dai 5.75 milioni di morti nel 1990 si è passati ai 9.56 milioni nel 2017. Tra le possibili cause di questa malattia, oltre i fattori ambientali, troviamo la genetica, uno stile di vita sregolato, le infezioni e l’invecchiamento. Tutti questi elementi risultano determinanti nello sviluppo del cancro ai polmoni (2 093 876 diagnosi), del carcinoma mammario (2 088 849 diagnosi) e del cancro al colon-retto (1 800 977 diagnosi), ovvero i tipi di cancro di cui si riporta il maggior numero di diagnosi ogni anno. I dati derivano da uno studio del Worldwide Cancer Data del 2018 che, trai tipi di cancro analizzati, non tiene conto di quello della pelle.

La chirurgia e la radioterapia nella lotta contro il cancro

La chirurgia è stato il primo approccio utilizzato contro il cancro. Già a partire dalla fine dell’Ottocento, successivamente ad Ippocrate e alle prime dissertazioni in materia, si iniziò a lavorare alla rimozione chirurgica della massa tumorale. Operare, però, non basta quasi mai.

Un’importante svolta fu la scoperta dei raggi X: onde elettromagnetiche ad elevata energia prodotte con l’ausilio di macchinari e sostanze radioattive. Anche grazie al contributo di Marie Curie nell’introduzione alla radioattività in generale, si mossero i primi passi verso quella che è diventata la moderna radioterapia. In quegli stessi anni, un medico francese utilizzò per la prima volta i raggi X a scopo terapeutico. Il trattamento riuscì a rivelare le grandi potenzialità della radioterapia grazie alla sua capacità di limitare l’accrescimento del carcinoma in un paziente oncologico.

Oggi, grazie alle moderne tecnologie, è possibile indirizzare con precisione le radiazioni nel sito in cui si trova il tumore, senza coinvolgere zone estese e non interessate dalla malattia, quindi scongiurando importanti effetti collaterali. Grazie a queste sue caratteristiche, la radioterapia viene difatti considerata una tecnica non invasiva e indolore.

La chemioterapia

Una valida alternativa alla radioterapia è l’utilizzo di chemioterapici, la cui scoperta si deve all’impiego dell’iprite o gas mostarda per scopi bellici durante la 1° guerra mondiale. Se in un primo momento gli studiosi ignorarono le possibili applicazioni di queste molecole, successivamente iniziarono a comprendere le loro potenzialità nella sintesi di farmaci antitumorali. Infatti, le azotipriti riescono a colpire le cellule cancerose durante la divisione cellulare, impedendone così la mitosi.

Uno dei primi chemioterapici fu impiegato dal pediatra Farber nella cura della leucemia infantile con risultati sorprendenti. Negli anni ‘70, il Professore Umberto Vernonesi riportò un’importante vittoria nella lotta contro il tumore al seno: introdusse la quadrantectomia, un approccio conservativo che può essere attuato essenzialmente nei casi in cui il cancro si trova nei primi stadi di sviluppo. Questo trattamento prevede l’asportazione del solo sito in cui si trova il tumore e la successiva somministrazione di radioterapia o di chemioterapici che assicuri protezione dal rischio di recidiva e dalla comparsa di un nuovo tumore.

Con il progredire dello studio sui meccanismi alla base della crescita delle masse tumorali, si iniziarono a sviluppare anche i primi farmaci antirecidiva. Grazie alla scoperta di due tipologie di cellule cancerose, quelle ormono-sensibili e quelle che non lo sono, si giunse alla terapia ormonale. Grazie a questa tecnica, è possibile ridurre il rischio di recidiva somministrando dei farmaci che, in seguito ad intervento o a ciclo di chemio/radioterapia, modulano la produzione di ormoni da parte dell’organismo malato che altrimenti incentiverebbero la proliferazione delle cellule tumorali.

Nel 1997 arrivarono i primi farmaci a bersaglio molecolare e i farmaci a bersaglio anti-angiogenico. I primi colpiscono selettivamente le cellule cancerose, mentre i secondi bloccano la formazione di vasi sanguigni intorno al carcinoma e quindi impediscono alla massa di crescere.

Il cancro e l’immunoterapia

Un’ulteriore svolta nella lotta al cancro è rappresentata dall’identificazione del meccanismo d’azione delle cellule cancerose nella disattivazione del sistema immunitario. Attraverso un lavoro di ingegneria genetica è possibile manipolare le cellule del sistema immunitario di un paziente oncologico, a cui vengono prelevate e poi re-infuse, in modo tale da potenziare la loro attività di difesa.

La tecnica Car-T prevede il prelievo di cellule del nostro sistema immunitario, i linfociti di tipo T, che vengono trattati in modo tale da indurre l’espressione del recettore CAR (Chimeric Antigenic Receptor). Questo recettore permette ai linfociti di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo. Utilizzata soprattutto nel campo dei tumori del sangue, quest’opera di ingegneria genetica ha permesso di trovare una cura contro alcune forme di leucemia linfoblastica non altrimenti curabili.

Fotoimmunoterapia: una nuova frontiera

Un articolo scientifico, recentemente pubblicato sul Bioorganic & Medicinal Chemistry, riporta un esempio di un nuovo approccio nella lotta al cancro: la fotoimmunoterapia. Questa tecnica prevede l’utilizzo di un anticorpo coniugato utilizzato come farmaco fotosensibile. Dopo aver legato la membrana cellulare ed essere stato sottoposto ad una radiazione luminosa, questo si attiva, generando uno spettro che cade nel vicino infrarosso (NIR). La morte cellulare è così indotta dalla formazione di aggregati dell’anticorpo sulla membrana cellulare, innescati dalle reazioni fotochimiche stimolate dalla luce.

Questo meccanismo d’azione assicura l’attivazione del farmaco solo in corrispondenza delle cellule tumorali che esprimono l’antigene riconosciuto dal coniugato anticorpo-farmaco. Inoltre, è improbabile che i farmaci non legati alla membrana cellulare provochino tossicità, anche se attivati dalla luce. Non solo questo, ma è anche estremamente difficile che la formazione di aggregati riguardi cellule sane, considerando che il loro numero di antigeni di superficie è molto piccolo. La fotoimmunoterapia si dimostra quindi una terapia non aggressiva, in grado di ridurre drasticamente gli effetti collaterali di cui può risentire il malato.

A cura di Martina Caserta.

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