Continua lo stato di preoccupazione sull’epidemia di coronavirus scoppiata nella città asiatica di Wuhan, ad oggi in isolamento, ma i casi registrati al di fuori del territorio cinese sono in aumento.
Nelle sole ultime 24 ore, si sono registrati 15 morti e circa 688 nuovi casi diagnosticati in Cina e, inoltre, non va sottovalutato la presenza di soggetti asintomatici che, però, sono portatori della malattia come spiegato dal prof. Roberto Burioni.
Questo stato di emergenza ha obbligato il governo cinese a procedere alla realizzazione di nuovi ospedali in tempi brevissimi, dedicati esclusivamente alla cura degli infetti ma, chi protegge i medici dal coronavirus?
Ecco qui che entra in gioco la tecnologia: un robot ha aiutato i dottori di Seattle a diagnosticare il coronavirus a un uomo di 30 anni che, recentemente, era stato nella città cinese di Wuhan.
I medici rappresentano una categoria di persone notevolmente esposte al virus, dovendo essere continuamente a contatto con soggetti malati o che potenzialmente hanno contratto il coronavirus, perciò trovare una soluzione che li salvaguardi, oltre la comune mascherina, può essere molto importante.
Un ruolo chiave lo sta svolgendo un robot che, dotato di stetoscopio e altri sensori, permette di monitorare i segnali vitali dei soggetti, aiutando nelle diagnosi e, inoltre, la comunicazione dottore-paziente avviene attraverso uno schermo, garantendo così la riduzione al minimo dell’esposizione del personale medico all’uomo infetto.
[bquote by=”George Diaz” other=”Capo della divisione malattie infettive presso il Providence Regional Medical Center di Everett”] Il personale infermieristico nella stanza sposta il robot in modo da poter vedere il paziente sullo schermo e parlare con lui [/bquote]
È successo negli Stati Uniti dove un uomo, rientrato dalla città di Wuhan qualche giorno prima che iniziassero i controlli sanitari in aeroporto e rappresentante il primo caso accertato statunitense, è stato trasportato in ospedale in una speciale barella isolata chiamata ISOPOD e curato in una zona isolata a due letti, lontano da zone trafficate dell’ospedale.
Il tempo di dimissione non è ancora chiaro perché sono necessari ulteriori test e, ad oggi, si lavora per trovare un vaccino.