Oggi parliamo di dispositivi di protezione per ridurre le probabilità di contagio da covid-19, in particolare, mascherine FFP2, FFP3, chirurgiche e “fatte in casa”: quali sono le differenze, le loro caratteristiche e, soprattutto, quelle fatte in casa sono davvero utili?
Dunque, sono passati pochi giorni dalla dichiarazione da parte dell’OMS di pandemia e, contemporaneamente, l’estensione della zona rossa a tutta Italia da parte del premier Conte che ha comportato la limitazione degli spostamenti (anche a piedi) solo a casi di necessità e, non mancano persone che per andare a fare la spesa o a lavoro indossino le mascherine.
Le mascherine filtranti hanno lo scopo di proteggere il nostro apparato respiratorio (e di conseguenza noi) dall’inalazione di polveri, fumi, virus e aerosol presenti nell’aria che sono, potenzialmente, tossici, pericolosi e cancerogeni.
Il grande vantaggio delle mascherine FFP è duplice perché, grazie al sistema filtrante, proteggono chi le indossa da eventuali agenti esterni ma, allo stesso tempo se indossate da un soggetto risultato positivo al covid-19, evitano che possa contagiare altre persone.
Esistono diverse classificazioni di mascherine FFP (Filtering Facepiece Particles, in italiano Facciale filtrante contro le particelle) in base al contesto di utilizzo ed efficienza, in particolare, per questa situazione di emergenza sono consigliate le mascherine FFP2 e FFP3.
L’efficienza di filtrazione minima è del 92% fino ad arrivare al 98% per una mascherina FFP3.
Sono costituite da diversi strati di polipropilene e/o microfibra di policarbonato, caricati elettrostaticamente al fine di ottenere una maggiore efficienza filtrante e, sono uniti tra loro tramite saldature ad ultrasuoni per garantire che, sotto l’effetto dell’umidità dell’aria respirata, continui ad esserci aderenza tra gli strati e che la struttura stessa non si indebolisca pregiudicando la forma del facciale.
Mentre, la bardatura è costituita da un elastico unico e scorrevole di doppio spessore, al fine di evitare rotture durante l’utilizzo del respiratore, con attacco alla struttura della maschera attraverso robuste saldature ad ultrasuoni (e non deboli graffette metalliche).
Per testarne l’efficacia filtrante, viene utilizzato sia il cloruro di sodio (NaCl) che l’olio di paraffina per simulare il filtraggio di sostanze, rispettivamente, solide e liquide.
Inoltre, le mascherine FFP2 e FFP3 possono essere dotate di valvola filtrante realizzata in polipropilene e gomma naturale per evitare la formazione di condensa all’interno del respiratore, prolungando l’efficienza e la durata del respiratore oltre a rendere meno faticosa la respirazione dell’utilizzatore.
Inoltre, la particolare forma e orientamento della valvola, che direziona l’aria espirata verso il basso, consente l’utilizzo anche in combinazione con occhiali.
Comunque, va ricordato che questi dispositivi sono monouso.
Sicuramente le mascherine descritte finora sono le più efficaci ed efficienti ma non è da tutti possederle, anzi la maggior parte utilizza le classiche mascherine chirurgiche o, addirittura, fatte in casa.
Le prime sono quelle che vengono utilizzate normalmente in ospedale e, il loro scopo è trattenere saliva e sudore di chi le indossa per proteggere le persone con cui entra in contatto da eventuali contagi ma, nel giro di qualche ora tendono ad inumidirsi e non essere più funzionali.
Ultimamente, vista l’enorme richiesta di mascherine, c’è anche chi decide di realizzarla in casa con materiali assolutamente non idonei come carta forno o tessuto che, possono isolare naso e bocca ma sicuramente non fungono da protezione.
Ad oggi, aziende italiane come la Miroglio Group stanno lavorando per mettere in commercio soluzioni riutilizzabili più volte.
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