Farmaco sperimentale per far regredire l’Alzheimer: funziona nei topi
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza, è una sindrome neurodegenerativa che comporta una graduale perdita delle funzioni cognitive. Attualmente, esistono alcuni trattamenti che non lo curano definitivamente, ma ad esempio ne rallentano temporaneamente il peggioramento dei sintomi. Tuttavia, la ricerca continua per trovare nuove soluzioni per migliorare la vita delle persone che ne sono affette. Uno studio, pubblicato su Cell, riguarda un nuovo farmaco per l’Alzheimer che ha dimostrato efficacia nel far regredire la malattia nei topi.
Un nuovo farmaco per l’Alzheimer
La nuova speranza arriva dallo studio effettuato dai ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine di New York. Hanno sviluppato un farmaco per l’Alzheimer che ha dimostrato effetti positivi sui topi, migliorandone memoria e altri sintomi associati a questa malattia, come ansia e depressione. È importante sottolineare che il farmaco sperimentale ha mostrato buoni risultati nei topi, ma non è detto che questo si traduca in un efficace trattamento anche nell’uomo.
Il farmaco sviluppato è in grado di agire su un meccanismo di “pulizia cellulare” chiamato autofagia chaperone mediata (CHA), processo che permette di eliminare proteine indesiderate. Gli studiosi hanno scoperto che la diminuzione della “pulizia cellulare” che contribuisce all’Alzheimer nei topi si verifica anche nelle persone con questa malattia, ciò suggerisce che effettivamente il farmaco potrebbe funzionare anche nell’uomo.
L’autofagia chaperone mediata (CHA)
L’autofagia chaperone mediata (CHA) è un meccanismo cellulare di rimozione selettiva che riguarda specifiche proteine bersaglio. Queste proteine vengono portate sulla membrana dei lisosomi, per poi essere degradate all’interno di tali organelli.
L’Alzheimer è caratterizzato dalla presenza di aggregati di proteine tossiche nel cervello dei pazienti. Considerando che la CHA diventa meno efficiente con l’avanzare dell’età, conseguentemente aumenta il rischio di accumulo di proteine indesiderate che danneggiano le cellule.
La CHA e l’Alzheimer
Dallo studio emerge che la diminuzione del processo di pulizia CHA contribuisce all’Alzheimer. Infatti, gli studiosi hanno visto che nei topi con alcuni neuroni con il processo CHA ridotto si è riscontrata perdita di memoria a breve termine oltre ad altri effetti, come performance motorie compromesse.
Gli studiosi hanno anche dimostrato il contrario, ovvero l’Alzheimer contribuisce a ridurre il processo di pulizia nelle cellule. In particolare, nelle fasi avanzate della malattia il processo CHA si riduce in maniera molto maggiore rispetto alle fasi iniziali.
Normalmente, a 70 o 80 anni, il processo CHA si riduce di circa il 30%, ma nella maggior parte delle persone il cervello riesce a compensare questo declino. Invece, considerando anche la presenza di una malattia degenerativa come l’Alzheimer, si possono avere effetti negativi.
Il farmaco e la CHA
Il nuovo farmaco per l’Alzheimer agisce sul processo di autofagia chaperone mediata, con l’obiettivo di portarlo al funzionamento tipico della giovane età. In particolare, agisce sui livelli di LAMP2A, un recettore coinvolto nel processo CHA. Quando le proteine tossiche vengono trasportate, vengono agganciate a questi recettori, presenti sulla membrana dei lisosomi. Aumentando la presenza di recettori LAMP2A tramite il farmaco, si migliora anche l’attività di pulizia.
L’utilità di questo farmaco per l’Alzheimer
Il farmaco è stato progettato da Evripidis Gavathiotis, Ph.D.,professore di biochimica e medicina e co-leader dello studio. Somministrando questo farmaco per via orale nei topi, per 4 – 6 mesi, ci sono stati miglioramenti nella memoria, nella depressione, nell’ansia e nella performance motoria. I neuroni cerebrali hanno avuto una significativa diminuzione della presenza di proteine tossiche.
I ricercatori hanno dimostrato che questo farmaco per l’Alzheimer ha effetti positivi anche in stadi avanzati della malattia. Inoltre, il farmaco ha anche ridotto significativamente la gliosi, la quale è associata al peggioramento delle malattie degenerative. Infine, l’utilizzo del farmaco non sembra danneggiare gli altri organi, anche quando somministrato quotidianamente per molto tempo.
Questo studio rappresenta un buon passo in avanti per la cura dell’Alzheimer. È importante continuare la ricerca in modo tale da capire se è utilizzabile nell’uomo. Lo studio apre anche la strada allo sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche che tengano in considerazione l’importanza del meccanismo CHA.