È cosa risaputa: per i fumatori aumenta la probabilità di sviluppare il cancro ai polmoni. Questo è dovuto a delle sostanze chimiche cancerogene presenti nel fumo come gli idrocarburi policiclici aromatici, che sono responsabili del danneggiamento del DNA che risulta in mutazioni che causano il tumore. Nonostante ciò, solo una minoranza dei fumatori sviluppa effettivamente la patologia. Si stima infatti che tra l’80 e il 90% delle persone che hanno fumato per tutta la loro vita non vanno incontro a questa grave complicanza clinica, tra le principali cause di morte nei paesi industrializzati. Un gruppo di ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine ha pubblicato uno studio che analizza questi meccanismi.
Il cancro ai polmoni è causato da delle mutazioni del DNA delle cellule polmonari. Queste mutazioni, però, fino a qualche anno fa non erano semplicemente individuabili. Il metodo che veniva utilizzato per il sequenziamento del genoma, il cosiddetto single-cell whole-genome sequencing, introduceva infatti degli errori difficilmente distinguibili dalle variazioni ricercate. Nel 2017, però, è stato introdotto un nuovo metodo, detto single-cell multiple displacement amplification (SCMDA), in grado di ridurre gli errori che caratterizzavano la tecnica precedente.
I ricercatori hanno quindi sfruttato la nuova tecnica SCMDA per analizzare le cellule epiteliali dei polmoni di due gruppi di persone:
L’indice pack-years è quello più comunemente usato per misurare la quantità di sigarette fumate dall’individuo nell’arco della sua vita ed è dato dalla formula:
numero medio di sigarette al giorno x numero di anni di fumo attivo /20 (che corrisponde al numero di sigarette presenti un pacchetto). Il risultato ottenuto può essere diviso in una serie di categorie:
Tutti i campioni sono stati raccolti da pazienti che erano stati sottoposti a broncoscopia per l’esecuzione di test diagnostici diversi dal cancro. Le cellule cercate, ovvero quelle che presentano mutazioni, sono in grado di sopravvivere a lungo e possono quindi accumularsi con l’età e il fumo. Le mutazioni responsabili della deriva cancerogena delle cellule sono solitamente variazioni di singoli nucleotidi o piccole inserzioni o delezioni. I ricercatori hanno notato che esse si accumulano nei polmoni dei non fumatori con il passare dell’età, ma sono significativamente più presente nei polmoni dei fumatori. Questa scoperta conferma il dato secondo cui il 10% dei non fumatori soffre di tumore ai polmoni, mentre la percentuale si alza al 20% per i fumatori.
È stato anche scoperto che il numero di mutazioni aumenta linearmente con il numero di pacchetti fumati all’anno, ma l’andamento crescente si blocca a 23 pack-years. I fumatori più “accaniti”, stranamente, non hanno quindi il maggior numero di mutazioni. L’ipotesi è la loro sopravvivenza sia correlata a una capacità intrinseca del loro organismo di rimuovere gli accumuli di queste mutazioni. Il loro corpo, quindi riesce a riparare il DNA e contenere i danni del fumo.
Lo studio presenta una serie di limiti, primo su tutti la piccola porzione di pazienti presa in considerazione. È poi utile sottolineare come sia adeguato interpretare adeguatamente i risultati ricavati. La ricerca, infatti, non smentisce l’aumentato rischio di tumore per i fumatori. Essa invece spiega perché non tutti i pazienti fumatori sviluppano la patologia. Non è noto quali siano i meccanismi alla base di questa spiccata capacità dell’organismo di correggere i danni lasciati dal fumo in termine di mutazioni, né come possa variare questa capacità nel tempo. Non andare incontro a un tumore fumando è quindi in un certo senso questione di fortuna.