“Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà. […] la noia, la quale, in fin dei conti, è giunto il momento di dirlo, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne.”
Così Alberto Moravia definiva la Noia nell’omonimo romanzo ad essa dedicato; non una noia “volgare”, dettata solo dallo scorrere circolare della routine, ma una noia che paralizza, che sottrae vitalità. Ebbene, questa è solamente una banda dell’ampio spettro di sensazioni provate in quest’ultimo mese di quarantena; una misura preventiva e contenitiva necessaria al fine di contrastare quello che, ad oggi, sembra essere il nemico pubblico numero uno: il virus Sars-Cov-2.
Sulla base di numerose esperienze passate, come l’influenza spagnola del 1918 e la Sars del 2003, l’isolamento e le restrizioni poste alla libertà di movimento degli individui si sono dimostrate misure efficaci al fine di rallentare la diffusione del contagio. Il grafico oramai divenuto virale – pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases – mostra gli effetti delle misure di isolamento sociale sul contenimento dell’epidemia e sulla salvaguardia del sistema ospedaliero da un eventuale collasso.
La curva arancione rappresenta il numero di contagi nel tempo che si avrebbero se il virus fosse lasciato libero di circolare, in assenza di alcuna precauzione: una diffusione repentina del Sars-Cov-2 caratterizzata da un grande numero di infetti. La curva azzurra, invece, rappresenta l’ipotetico andamento dell’epidemia in presenza di misure di contenimento dell’infezione, come quelle che sono state attuate a Wuhan ed in parte anche in Italia. In queste condizioni l’epidemia rallenta: il numero di contagi si distribuisce su un arco di tempo più lungo ed il picco epidemico rimane molto più basso rispetto alla condizione senza misure di contenimento.
Dal punto di vista della pubblica sicurezza, la quarantena non è dunque una misura contingente. Ma quali sono gli effetti della quarantena sulla mente umana?
Una delle caratteristiche più affascinanti del cervello umano è plasticità cerebrale: la capacità dell’encefalo di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a seconda dell’attività dei propri neuroni, correlata ad esempio a stimoli ricevuti dall’ambiente esterno, in reazione a lesioni traumatiche o modificazioni patologiche e in relazione al processo di sviluppo dell’individuo. Perciò, se l’ambiente esterno e le esperienze vissute giocano un ruolo fondamentale nel riarrangiamento dinamico del cervello, risulta verosimile credere che le misure di confinamento sociale possano influire su quest’ultimo.
A titolo d’esempio, si può citare una review pubblicata nel 2014 sulla rivista Psychological Bulletin che riporta gli effetti dell’isolamento sociale percepito, ovvero del senso di solitudine, sul cervello umano.
Dal punto di vista biologico, l’isolamento sociale percepito nell’uomo è stato associato ad un peggioramento della risposta infiammatoria ed immunitaria oltre che ad un abbassamento della qualità del sonno.
Dal punto di vista dell’attività cerebrale, invece, gli individui solitari mostrano una maggiore attivazione dello striato ventrale alla vista di immagini raffiguranti oggetti piacevoli piuttosto che persone piacevoli. Questo risultato potrebbe tradursi in un maggior attaccamento alle cose materiali (come il cibo) in condizioni di solitudine. Inoltre, si osserva una riduzione nell’attivazione della corteccia prefrontale dorso-mediale negli individui solitari che osservano uno scenario sociale negativo. Un individuo socialmente isolato potrebbe quindi sviluppare un’ipersensibilità agli stimoli sociali negativi ma, d’altro canto, tenderebbe ad accrescere il proprio istinto di autoconservazione.
La quarantena può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere psicologico dei cittadini. A certificarlo è una review pubblicata sulla rivista The Lancet da un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra. Questa analisi di 24 studi – condotti durante precedenti epidemie: come quelle della Sars, dell’H1N1, della Mers e di Ebola – ha permesso di identificare le conseguenze psicologiche più frequenti tra gli individui sottoposti a quarantena e gli stressor (a.k.a. le fonti di stress) ad essa associati.
Bisogna innanzitutto chiarire che gli studi analizzati sono basati su numeri più piccoli rispetto a quelli di cui sentiamo parlare in questi giorni (lo studio più grande usa un campione di oltre 6.200 persone, quello più piccolo 10) e che metodo e campione utilizzati variano di studio in studio. Ciò nonostante, attraverso queste ricerche è possibile trarre alcune conclusioni utili per comprendere e ridurre l’impatto psicologico della quarantena.
Una tra le principali correlazioni emerse è quella tra le misure d’isolamento ed una maggiore incidenza del disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Uno studio ha evidenziato come la probabilità di sviluppare un PTSD a seguito di un trauma fosse quattro volte più alta nei bambini sottoposti a quarantena, rispetto a quelli che non erano in quarantena. Per di più, il 28% (27 su 98) dei genitori in quarantena ha riportato sintomi sufficienti per giustificare una diagnosi di un PTSD, rispetto al 6% (17 di 299) dei genitori non in quarantena. Altri disturbi psicologici generali evidenziati dagli studi analizzati sono: disturbi emotivi, sintomi depressivi, stress, umore basso ed insonnia.
L’isolamento sociale cambia anche il modo in cui si percepisce la quotidianità: su un campione di 1057 persone messe in isolamento durante l’epidemia di Sars, solo il 5% ed il 4% ricordano di aver vissuto rispettivamente momenti di felicità e sollievo durante il periodo di quarantena. La restante parte afferma di esser stata sopraffatta da sentimenti negativi come senso di colpa (10%), tristezza (18%), nervosismo (18%) e paura (20%). Ed è proprio la paura il sentimento che sembra attanagliare i quarantenati finanche alcune settimane dopo il periodo di isolamento: su lo stesso campione precedentemente menzionato, il 54% ha confessato una repulsione verso coloro affetti da tosse o raffreddore, il 26% ha affermato di continuare ad evitare i posti affollati ed il 21% i luoghi pubblici.
La categoria maggiormente colpita durante questa guerra è quella di chi combatte in prima linea: lo staff ospedaliero. Per medici ed infermieri gli effetti psicologici della quarantena risultano essere amplificati, in primo luogo perché sono maggiormente esposti al contagio ma anche perché vivono tutti i giorni sulla propria pelle le conseguenze dell’epidemia.
Il 60% dello staff ospedaliero ha riportato effetti psicologici come mancanza di empatia, assenteismo, abuso di sostanze, performance lavorativa più bassa, disturbi depressivi, paura ed ansia di infettare gli altri, anche dopo 3 anni dalla fine della quarantena. Si è inoltre osservato che essi presentano sintomi di PTSD più severi rispetto alla gente comune in quarantena.
Inoltre, è possibile che i membri del personale ospedaliero messi in quarantena, e quindi impossibilitati a lavorare, si sentano responsabili della carenza di personale nei loro posti di lavoro e quindi di essere causa del lavoro extra che i loro colleghi sono costretti ad affrontare.
È quindi necessario assistere, proteggere e non dimenticare questa categoria di professionisti che mettono a rischio la propria vita e quella delle proprie famiglie combattendo in trincea. L’unico modo che abbiamo per combattere insieme a loro, come fossimo una squadra, è quello di rispettare le direttive ed evitare una propagazione rapida del contagio, “Whatever It Takes”.
Al governo, alla comunità scientifica e alla società civile viene richiesto, ora come non mai, di lavorare in sinergia, adottando e promuovendo specifiche misure ed iniziative, al fine di modulare le fonti di stress associate alla quarantena (tra le quali la durata della quarantena, la paura di infettarsi e della stigmatizzazione, informazioni confuse e poco trasparenti, la mancanza di mezzi adeguati, i danni economici, la frustrazione e la noia).
Che le misure di isolamento sociale accentuino la disparità economica è un dato di fatto: la chiusura delle attività considerate “non necessarie” potrebbe apportare gravi perdite economiche alle piccole e medie imprese e l’impossibilità di recarsi al lavoro potrebbe mettere in ginocchio le famiglie più povere. Perciò, un elemento molto importante, che ha un impatto significativo sulla dimensione psicologica dei cittadini, è quello di garantire con facilità l’accesso a beni primari – in questi casi non si parla solo di beni alimentari ma anche di una connessione internet e di device, come computer o smartphone, che consentano ai cittadini di informarsi e tenersi in contatto – ma anche a sussidi economici e sgravi fiscali per le imprese.
Imprese che possono fare e stanno facendo la loro parte in questa lotta al virus. Basti pensare al fenomeno dello smartworking che consente ad un’ampia fetta di professionisti di lavorare da casa, tenendosi anche in contatto con i propri colleghi, combattendo così la solitudine, la frustrazione e la noia. Per di più, diverse società operanti nel settore dei contenuti digitali e dello streaming stanno fornendo in maniera gratuita ai propri utenti l’accesso agli account premium, al fine di incoraggiarli il più possibile a restare a casa rispettando le direttive del governo.
Se dovessimo fare del cherry-picking tra i fattori più dannosi caratterizzanti la situazione nella quale versiamo, allora la disinformazione sarebbe la prima scelta. In situazione di quarantena, dove ansia, paura ed incertezza sono sentimenti dominanti, la comunicazione con i cittadini deve essere impeccabile. È compito del governo fornire informazioni chiare e trasparenti sulle misure da adottare e sull’utilità sociale di tali misure, curando i propri canali istituzionali per informare i cittadini e promuovendo servizi di supporto psicologico. Alla comunità scientifica spetta di informare i cittadini sulla malattia – descrivendone i sintomi e le modalità di trasmissione – adottando toni divulgativi chiari e pacati e ricordando che talk show e social network non sono luoghi adatti ai dibattiti scientifici: la gente deve potersi fidare di chi passa loro le informazioni.
I cittadini non sono tuttavia liberi dalle proprie responsabilità dal punto di vista comunicativo. Un utilizzo corretto dei social network è importante sia per prevenire qualsiasi forma di stigmatizzazione verso i positivi al Sars-Cov-2 che per debellare l’altro virus per il quale non si è ancora riusciti a trovare un vaccino: la fake news.
Il primo passo per risolvere un problema è quello di riconoscere il problema. Lo studio dei ricercatori del King’s College è stato utile da questo punto di vista: identificare gli effetti psicologici associati alle misure di contenimento utilizzate nel passato, in modo tale da essere pronti ad affrontare al meglio le conseguenze dell’epidemia di Sars-Cov-2.
Abbiamo imparato qualcosa dal passato? Alcuni fattori lasciano ben sperare: il governo sta lavorando a stretto contatto con la comunità scientifica, le aziende stanno riconvertendo la propria produzione al fine di fornire tutto il materiale necessario per affrontare l’emergenza, ed i cittadini sembrano aver capito che la cooperazione è l’unica via per superare questa situazione.
Sì, “cooperare” è la parola chiave: lo studio del King’s College ha rivelato che una quarantena volontaria e consapevole è spesso associata ad un ridotto livello di stress e quindi ad un minor rischio di ricadute psicologiche a lungo termine. I quarantenati consapevoli del reale impatto dei loro sacrifici, sulla salvaguardia dei propri cari ma anche della società tutta, tenderanno a percepire molto meno gli effetti dell’isolamento e a sentirsi parte di un’unica grande “famiglia”; la tendenza a far fronte comune contro un nemico, in situazioni come epidemie o guerre, è stato teorizzato nel concetto sociologico di resilienza sociale:
«Resilienza sociale e di gruppo: quando un gruppo, struttura sociale, istituzione o nazione forma strutture di coesione, appartenenza, identità e sopravvivenza come strutture sociali illimitati o complesse; sviluppa modi di affrontare quegli eventi e quelle situazioni che mettono in pericolo il gruppo e l’identità, formando linee guida che consentono la sopravvivenza, l’espansione e l’influenza del gruppo.» (Oscar Chapital Colchado)
Possiamo facilmente riscontrare questo fenomeno in alcune iniziative ed eventi che stanno accompagnando la nostra quarantena, ad esempio i flash mob dai balconi.
In conclusione, l’efficacia delle misure di isolamento sociale adottate in Italia sulla limitazione del picco di contagi è incontrovertibile, nonostante le possibili ricadute psicologiche. Tuttavia, oggi disponiamo di nuove tecnologie per tenerci in contatto anche a distanza ed abbiamo soprattutto imparato dalle passate epidemie come combattere le derive psicologiche introdotte da queste misure.
Se cambiassimo per un attimo la nostra prospettiva, potremmo vedere quest’esperienza come un’opportunità. Un’opportunità d’apprendimento dal punto di vista scientifico ma anche dal punto di vista umano. La nostra generazione si sta rendendo conto, forse per la prima volta, del fatto che il gesto di un singolo individuo possa avere un reale impatto sulla società; con il semplice fatto di restare confinati in casa, stiamo impedendo al virus di infettare quelle due o tre persone che ognuno di noi può mediamente infettare e di conseguenza stiamo impedendo una rapida crescita dei contagi che porterebbe al collasso del sistema sanitario. Imparare da questa esperienza sarà dura ma, alla fine, ne sarà valsa la pena:
“Tempi avversi creano uomini forti. Uomini forti creano tempi tranquilli. Tempi tranquilli creano uomini deboli. Uomini deboli creano tempi avversi.”