Medicina

Malattia di Lyme: una nuova cura potrebbe portare alla sua eradicazione

La malattia di Lyme è ad oggi la più diffusa e comune malattia trasmessa da vettore e, tra questo tipo di patologie, è seconda per numero di casi solo alla malaria. Quest’infezione è causata da un batterio chiamato Borrelia burgdorferi che si annida nei topi selvatici. Le zecche che si nutrono dei topi si infettano e possono infettare a loro volta animali e persone con cui entrano in contatto. Fino ad ora, i trattamenti utilizzati risultavano sfuggenti, poco efficaci e responsabili di danni al microbioma.

Il gruppo di ricerca di Kim Lewis, direttore dell’Antimicrobial Discovery Center presso l’Università di Northeastern, ha recentemente pubblicato un lavoro sulla rivista Cell, in cui viene descritto una terapia mirata che potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento di questa patologia nella sua fase acuta.

Malattia di Lyme: da dove ha origine?

Può essere conosciuta come Malattia di Lyme o malattia delle zecche, perchè di fatto le responsabili della sua trasmissione sono proprio loro: le zecche. Si tratta ovviamente di animali piuttosto comuni, che per la maggior parte sono innocui. È solo quando si sono nutriti di un animale infetto che il loro morso può diventare a sua volta contagioso. Ma da dove ha origine questa malattia?

Nel 1975, nella città di Lyme in Connecticut si manifestò un misterioso aumento dei casi di artrite, soprattutto infantile. L’artrite in questione si associava ad eritemi cutanei che si ingrandivano con il tempo fino a raggiungere una dimensione variabile tra i 10 e i 50 cm. Diversi medici dell’Epidemic Intelligence Service del “Centers for Disease Control” di Atlanta e dell’università di Yale, tra cui David Snydman, Allen Caruthers Steere e Stephen Malawista, iniziarono ad indagare questa patologia e la indetificarono come una nuova infezione diffusa a causa di punture di zecche. Qualche anno dopo, gli stessi medici che scoprirono questa patologia la nominarono “malattia di Lyme”.  

Secondo i dati del Ministero della Sanità, intorno alla fine degli anni ’90, in Italia si contavano circa un migliaio di casi di malattia di Lyme. Questo dato sembra tuttavia sottostimato, a causa della difficoltà con cui veniva diagnosticata questa patologia. La conoscenza dei sintomi provocati da quest’infezione da zecca ha condotto ad un aumento delle diagnosi e, di conseguenza, ad un incrementi dei casi registrati. Oggi, in Italia, l’area geografica del bellunese è considerata quella con un maggior numero di casi di malattia di Lyme.

Quali sono i sintomi più comuni?

I primi sintomi sono difficili da riconoscere a causa della loro irregolarità e mutevolezza. Comunemente, inizia con la caratteristica eruzione cutanea a “occhio di bue”, noto come eritema migrante, e una malattia semi-influenzale, che comporta febbre, mal di testa e brividi. L’infezione acuta si sviluppa nel sito di inoculazione della zecca. Da lì, poi i batteri si diffondono rapidamente ad altri siti, fino ad arrivare in alcuni casi anche al cuore e al sistema nervoso periferico e centrale. Se non viene trattata opportunamente durante la sua fase iniziale, i sintomi tardivi di infezione da Borrelia burgdorferi includono artrite e problemi neurologici.

Nuova terapia vs cure attuali

Attualmente, la malattia di Lyme in fase acuta viene trattata con antibiotici ad ampio spettro, tra cui doxiciclina, amoxicillina e ceftriaxone. Per la maggior parte dei pazienti, questi trattamenti possono eliminare i batteri che causano la malattia. Ma non sempre hanno un effetto positivo. L’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro può comportare l’eradicazione non solo del batterio bersaglio, bensì anche di tutti gli altri tipi di batteri che popolano il nostro intestino e che sono benefici per la nostra salute. Se alcuni di questi vengono a mancare, si rompe quella sorta di equilibrio esistente tra tutti, portando ad un’alterazione di quello che viene chiamato microbioma intestinale.

Il microbioma è fondamentale nel nostro organismo: modella il sistema immunitario durante lo sviluppo, contribuisce al mantenimento di un tratto gastrointestinale sano, della salute cardiovascolare e mentale e aiuta a prevenire malattie autoimmuni. Di conseguenza, mantenere in salute il microbioma è un aspetto fondamentale per la nostra stessa salute.

La scoperta di Lewis e il nuovo antibiotico

Secondo ricerche effettuate precedentemente, il gruppo di studiosi ha scoperto che i pazienti con i sintomi della malattia di Lyme a lungo termine tendono ad avere un microbioma intestinale distinto dai pazienti sani. Quindi hanno ipotizzato che gli antibiotici ad ampio spettro, come la doxiciclina o l’amoxicillina, possano gettare le basi per i sintomi persistenti in quella che viene spesso chiamata “malattia di Lyme cronica” o “malattia di Lyme post-trattamento”. Con questa premessa, Lewis ha iniziato a cercare un composto che potesse colpire specificamente Borreliella burgdorferi, il batterio che causa la malattia di Lyme acuta. Inizialmente, molti scienziati avevano respinto il promettente composto, l’igromicina A, poichè lo ritenevano debole contro molti tipi di batteri.

Quello che abbiamo scoperto è che, sì, è molto debole contro i normali patogeni, ma eccezionalmente potente contro le spirochete come B. burgdorferi.

Kim Lewis, direttore dell’Antimicrobial Discovery Center

Gli studiosi hanno somministrato il composto per via orale in modelli murini di malattia di Lewis e hanno notato che la malattia si risolveva molto bene. Inoltre, non hanno osservato alcun effetto dannoso dell’igromicina sugli animali, indipendentemente dalla dose somministrata. Ma ovviamente le ricerche non si fermano qui. Il team di Lewis ha già concesso in licenza il composto alla compagnia di biotecnologie Flightpath, focalizzata in particolare sulla malattia di Lyme. L’azienda sta aspettando il via libera per poter passare ai trial clinici.

Non solo malattia di Lyme…

I batteri spirochete non sono solo responsabili della malattia di Lyme. Essi possiedono una forma a cavatappi che consente loro di scavare nei tessuti, infettando l’uomo. Tra le varie malattie che possono causare i batteri appartenenti a questa famiglia, c’è anche la sifilide. Considerando l’elevata resistenza ai trattamenti standard che quest’infezione batterica sta sviluppando, l’igromicina potrebbe potenzialmente essere utilizzata come trattamento anche contro questa malattia.

Le ricerche in generale dovranno ancora proseguire nel loro sviluppo per cercare di capire se l’igromicina possa diventare il primo trattamento terapeutico per la malattia di Lyme e non solo.

Sarà molto importante vedere se il trattamento con igromicina A ridurrà la probabilità di sviluppare Lyme cronica.

Kim Lewis, direttore dell’Antimicrobial Discovery Center

Published by
Giulia Nucci