Parkinson: scoperta la coppia molecolare che frena il morbo
Il Ministero della Salute stima che, in Italia, 230.000 persone siano affette del morbo di Parkinson. Questi dati interessano maggiormente la popolazione con età media superiore ai 60 anni, sebbene il 5% dei pazienti presenti i primi sintomi prima dei 50 anni. Come sappiamo, il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa, che determina la morte delle cellule che sintetizzano e rilasciano la dopamina (un neurotrasmettitore responsabile di numerose funzioni cerebrali). Ad oggi, non esistono cure definitive per il Parkinson, ma solo farmaci e attività fisioterapiche e riabilitative che consentono l’attenuazione dei sintomi. Uno studio della Nanyang Technological University di Singapore e della Harvard University pubblicato su Nature Chemical Biology rivela che ci sarebbe una coppia molecolare in grado di rallentare l’avanzare del morbo di Parkinson: prostaglandina E1 (Pge1) e prostaglandina A1 (Pga1).
In che modo le prostaglandine rallenterebbe la malattia
Il team di ricercatori, a seguito di test effettuati su topi affetti da Parkinson, ha notato che la prostaglandina E1 e la prostaglandina A1 sembravano rappresentare la soluzione per il mantenimento di alti i livelli di dopamina, rallentando, così, il procedere della malattia. In effetti, le due prostaglandine si legano alla proteina Nurr1 (Nuclear receptor related 1) attivandola. Infatti, è già noto da molto tempo in ambito medico, che la proteina Nurr1, nei pazienti affetti da Parkinson, ha valori molto bassi. Nello studio pubblicato su Nature, il team ha riscontrato che, attivando la suddetta proteina attraverso le prostaglandine E1 e A1 nei topi malati, essi presentavano notevoli miglioramenti nelle loro funzioni motorie. Sebbene non si possa ancora cantare vittoria, gli studiosi si dicono entusiasti, poiché ritengono che sia un buon punto di partenza per la sperimentazione di nuovi farmaci atti ad attivare Nurr1 e procederanno con ulteriori studi, percorrendo questa strada.
Sintomi e cause del morbo di Parkinson
Vi sono testi antichissimi, tra cui un papiro egiziano e la Bibbia, in cui vengono descritti sintomi simili a quelli provocati dalla malattia di Parkinson. Nei secoli, molti medici hanno scritto trattati a riguardo, tra i quali il medico inglese James Parkinson, che descrisse per primo a fondo la malattia, presentandone tutti i sintomi: tremore, rigidità, bradicinesia (difficoltà ad effettuare gesti semplici), problemi neuropsichiatrici, difficoltà del sonno, ecc. Solo nel 1950 gli studiosi capirono quali cambiamenti biochimici avvenissero nel cervello e in particolare il ruolo della dopamina nella malattia. Purtroppo, oggi, ancora non conosciamo davvero le cause scatenanti del morbo di Parkinson. Gli studi effettuati fino ad ora danno risultati contrastanti. Gli unici fattori di rischio, sui quali sembrano concordare tutte le ricerche, è l’esposizione ad alcune tossine ambientali, come determinati insetticidi (tra i quali rotenone e paraquat). Inoltre, alcuni studi volgono l’attenzione su traumi cranici, riscontrando un’alta percentuale di malati di Parkinson tra ex pugili professionisti, come Cassius Clay. L’insorgere della malattia dopo i 60 anni (nella maggior parte dei casi) sembra essere dovuta al fatto che la protezione delle cellule contenenti dopamina perde efficacia, determinando, così, una maggiore predisposizione all’insorgere della malattia.
Diagnosi
Essendo una malattia complessa, il Parkinson non può neanche essere identificato da un esame specifico. Generalmente la diagnosi è affidata ad un neurologo, il quale analizza la storia clinica del paziente e valuta i sintomi e la gravità degli stessi. I soggetti che presentano alcuni sintomi della malattia sono generalmente sottoposti ad un trattamento farmacologico anti-parkinson per verificare la risposta del paziente. Di norma, se un paziente presenta due dei tre sintomi più caratteristici del Parkinson (tremore, bradicinesia, rigidità muscolare), egli soffre della malattia.