Le neuroscienze rappresentano l’insieme degli studi scientifici del sistema nervoso. Lo studio del sistema nervoso richiede conoscenze che spaziano dalla biologia alla fisiologia, dalla fisica alla psicologia, dalla medicina all’ingegneria. I progressi tecnologici hanno permesso lo sviluppo del neuroimaging come strumento di primaria importanza oltre che nella ricerca anche nella clinica e nella diagnostica. Tra le principali tecniche di neuroimaging troviamo la tomografia computerizzata (TC), la tomografia a emissione di positroni (PET), la tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone (SPECT), l’elettroencefalografia (EEG), la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e la risonanza magnetica (RM). Vediamo nel dettaglio una particolare tecnica di risonanza magnetica: l’imaging con tensore di diffusione (DTI).
L’imaging con tensore di diffusione (DTI) è una tecnica non invasiva di risonanza magnetica sempre più utilizzata. Il “tensore di diffusione” è lo strumento matematico che descrive la distribuzione della diffusione nelle tre dimensioni e altro non è che una matrice 3×3 simmetrica. Le principali applicazioni di questa tecnica sono nell’ambito delle neuroscienze, essendo un importante strumento per lo studio dell’architettura delle strutture cerebrali in ambito fisiologico e patologico. In particolare, la tecnica permette una visualizzazione della sostanza bianca, costituita dai fasci di fibre nervose che appaiono bianchi perché rivestiti da mielina, misurando la diffusione delle molecole d’acqua presente nei tessuti. Pertanto, la risonanza magnetica con DTI è molto utilizzata nell’analisi dell’integrità della sostanza bianca in patologie demielinizzanti e degenerative come la sclerosi multipla, la malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson, la SLA e anche tumori cerebrali.
Con le sue osservazioni sulle particelle di polline sospese in un solvente, nel 1828 il botanico scozzese Robert Brown pose le basi per lo studio del moto termico disordinato delle molecole in un fluido: il “moto browniano”. Si muovono esattamente di questo tipo di moto le molecole d’acqua presenti, per esempio, in un bicchiere. In questa condizione, le molecole d’acqua si muovono in un mezzo isotropico (dal greco ἴσος isos «uguale» e τρόπος trópos, derivato da trépō, «volgo, trasferisco»), cioè si muovono senza una direzione preferenziale. Invece, nei tessuti biologici le molecole d’acqua possono avere una direzione preferenziale quando si trovano in un mezzo anisotropico, come, per esempio, nelle fibre nervose.
L’analisi delle fibre neurali in risonanza magnetica con DTI sfrutta il concetto inverso: se in una certa regione riscontriamo una direzione preferenziale del moto delle molecole d’acqua allora la fibra sarà intatta perché non ci saranno “fuoriuscite” d’acqua, se questo non avviene potrebbe esserci una lesione (per esempio una demielinizzazione dell’assone che consente all’acqua di attraversare la membrana).
La risonanza magnetica è una tecnica di imaging biomedico sicura e non invasiva. Non è nociva per il paziente perché non sfrutta radiazioni ionizzanti come altre tecniche di imaging, per esempio la radiografia tradizionale e la TC (tomografia computerizzata) che utilizzano raggi X, ma si basa sul principio fisico della risonanza magnetica nucleare. Il tensore di diffusione (DTI) è solo una delle principali sequenze utilizzate nell’imaging con risonanza magnetica e non modifica in alcun modo la sicurezza o la non invasività della procedura.
L’esame in risonanza magnetica (con o senza DTI) potrebbe essere contrindicato in caso di pazienti con pacemaker, protesi o impianti metallici. È importante, prima dell’esame, far presente al personale medico eventuali dispositivi impiantati nel proprio corpo per valutarne la “risonanza-compatibilità”. L’esame potrebbe creare problemi anche a persone claustrofobiche. Infatti, sono sempre più numerosi i centri e gli ospedali che si sono dotati di un macchinario per risonanza magnetica aperto. Infine, un ulteriore problematica potrebbe insorgere a causa della necessità di iniettare un mezzo di contrasto. Anche in questo caso, sarà sufficiente riferire ai medici un’eventuale allergia o condizione patologica che impedisca l’assunzione del liquido.
Forse sarà capitato anche a voi di imbattervi in alcune di queste bellissime immagini dai colori vividi. Queste sono il risultato di una particolare tecnica di modellazione tridimensionale chiamata trattografia. Usando i dati raccolti dalla risonanza magnetica con DTI, la trattografia permette una visualizzazione della mappatura 3D delle fibre di sostanza bianca attraverso particolari software di ricostruzione. I diversi colori indicano le diverse direzioni di massima diffusione delle molecole d’acqua.
La trattografia è la sola metodica che consente uno studio 3D non invasivo dell’architettura della sostanza bianca in vivo. Prima del DTI, le informazioni sulle fibre della sostanza bianca si avevano mediante studi invasivi sugli animali. Veniva iniettato del tracciante colorato, dopodiché post-mortem si andava a studiarne la distribuzione. Oggi, la trattografia con DTI consente un supporto alle fasi diagnostiche ed interventistiche come la pianificazione, la somministrazione di chemio/radio-terapie e il monitoraggio dopo interventi chirurgici di asportazione di tumori cerebrali.
Tra le principali applicazioni cliniche del DTI, una delle più importanti è la localizzazione delle lesioni della sostanza bianca. Per alcuni tipi di tumori cerebrali, il neurochirurgo può essere aiutato dalla conoscenza della prossimità e la posizione relativa del tumore rispetto al tratto corticospinale, costituito da fibre motrici che provvedono ai movimenti volontari dei muscoli. La tecnica di risonanza magnetica con DTI si sta rivelando molto promettente anche nel distinguere la malattia di Alzheimer da altri tipi di demenze o dall’invecchiamento, nell’analisi delle alterazioni della sostanza bianca per disturbi come ADHD, autismo, psicosi nonché in studi sull’abuso di sostanze stupefacenti e alcol. I campi d’interesse possono essere moltissimi: il DTI trova applicazione anche nella medicina dello sport per l’analisi della struttura del muscolo scheletrico e delle lesioni a muscoli e tendini.
Inoltre, la procedura è utilizzata in ricerca per l’investigazione della connettività delle reti neurali in vivo. In analogia con il termine “genoma”, è stato coniato il termine “connettoma”, introdotto da un articolo scientifico nel 2005, che indica una mappa di connettività strutturale del cervello. La connettività strutturale descrive una rete fisica di connessioni, le quali possono corrispondere a fibre o singole sinapsi. L’idea dietro al connettoma è quella di ottenere una mappa per poter comprendere l’organizzazione delle interazioni neurali.
L’Human Connectome Project è un progetto sponsorizzato da sedici membri della National Institutes of Health lanciato nel luglio 2009. Il progetto mira a fornire una raccolta senza precedenti di dati neurali, un’interfaccia per navigare graficamente tra questi dati e l’opportunità di raggiungere conclusioni mai realizzate prima sul cervello umano.