Biomateriali

Rivoluzione nella terapia del diabete: a Genova l’invenzione dell’insulina “smart”

Dopo circa cento anni dalla scoperta dell’insulina, a Genova, si sta riscrivendo la storia tecnologica della cura dei pazienti diabetici. È ciò che si prospetta a seguito della nuova invenzione nata dalla diretta collaborazione tra il reparto di endocrinologia del policlinico San Martino e il laboratorio di nanotecnologie dell’istituto italiano di tecnologia (IIT), insieme all’appoggio fornito dall’università di Stanford, California.

Una rivoluzione copernicana nell’ambito della terapia per i diabetici”, è così che definisce la scoperta scientifica Angelo De Pascale, diabetologo responsabile dello studio per il policlinico San Martino di Genova. E sono proprio le parole esatte, basti pensare al disagio che devono subire i pazienti affetti da questa patologia durante la loro vita.

La nascita dell’idea risale a tre anni fa durante la lettura di alcuni articoli di ricercatori americani. Il processo descritto puntava a modificare l’insulina presente in commercio, in modo da renderla intelligente e, quindi, capace di agire solo in presenza di livelli di glicemia elevati.

Dottor De Pascale.

Il Dottore continua spiegando: “è come se avessimo ricostruito un pancreas artificiale che permette di controllare il rilascio di insulina unicamente nel momento in cui ce n’è necessità”. La realizzazione è stata permessa grazie agli studi effettuati dai ricercatori del policlinico e alle conoscenze in ambito tecnologico del laboratorio di nanotecnologie dell’IIT, guidato dal Professor Paolo Decuzzi.

Le microparticelle che rilasciano insulina

Insieme al suo gruppo di ricerca, composto da Rosita Primavera, Senior Scientist dell’Università di Stanford, Martina Di Francesco e Daniele Moscolo, il Professor Decuzzi si è occupato della realizzazione delle microparticelle, con dimensione leggermente inferiore a quella delle cellule pancreatiche. All’interno delle particelle, sono stati inseriti granuli di insulina con dimensione di circa 200 nanometri, paragonabili alle dimensioni di quelli rilasciati dal pancreas.

La vera innovazione, che permette il rilascio in modo graduale dell’insulina, è dovuta al polimero di cui sono costituite le microparticelle ovvero PLGA (acido polilattico-co-glicolico). Quest’ultimo è un polimero con elevate caratteristiche di biocompatibilità e biodegradabilità. Ed è proprio la sua biodegradabilità che, insieme all’effetto dei fluidi biologici, causa il discioglimento graduale della particella stessa e, quindi, un continuo rilascio dell’insulina presente al suo interno.

Credits: ivg

La prima fase di test è stata eseguita in vitro; al momento i ricercatori si stanno occupando della realizzazione dei test su animali all’interno dell’Università di Stanford. In particolare, sono stati resi diabetici alcuni topi eliminando le cellule che producono insulina e, successivamente, sono state iniettate le microparticelle, caricate di insulina, attraverso il peritoneo. I risultati sono stati oltre le aspettative, racconta De Pascale, “i valori glicemici all’interno del sangue si sono abbassati a valori simili a quello dei topi sani” e, cosa ancora più sorprendente è che tali valori sono rimasti stabili per circa 10 giorni, nonostante i topi continuassero la loro vita in modo normale.

L’impatto di questo studio

I risultati diventano ancora più sorprendenti se pensiamo ai numeri del diabete e ai vantaggi che potrebbe portare una scoperta di tale calibro. Solo in Italia le persone affette da questa patologia sono circa 5 milioni, di cui 300 mila sono affetti da diabete mellito di tipo 1. Per loro, che sono costretti ad effettuare iniezioni di insulina sottocute, la vita è notevolmente più complessa. Devono sempre tenere sotto controllo i livelli di glicemia per evitare di andare incontro a ipoglicemie o iperglicemie durante la giornata.

Oltre questo aspetto, si sommano gli effetti degli scompensi dovuti al diabete, come complicazioni cardiovascolari, malattie dei reni e problemi alla vista. Con un metodo del genere, che agisce in completa autonomia, la vita del paziente potrebbe seguire un ritmo normale, mentre le microparticelle si occupano di tenere sotto controllo il livello di glicemia nel sangue.

Ovviamente il lavoro dei ricercatori non è concluso, anzi tutt’altro: il loro prossimo obiettivo è quello di rendere le microparticelle autonome per un periodo di tempo maggiore. Intanto, ci si sta già mobilitando per prevedere una sperimentazione su essere umani in maniera tale da testare l’efficacia del dispositivo. Attualmente il dispositivo ha un’autonomia di circa 10 giorni, ma si punta a raggiungere i 20 o 30 nei prossimi sviluppi.

Stiamo continuando a sviluppare nuove particelle cambiandone le dimensioni e le proprietà chimico-fisiche così da agire sul controllo del processo di rilascio e aumentarne la durata.

Professor Paolo Decuzzi.

Uno sguardo al futuro

Inoltre, un ulteriore sviluppo futuro consiste nel trattamento di ulteriori tipologie di diabete; al momento lo studio si è concentrato sul diabete mellito di tipo 1. Infatti, sono molte le persone afflitte anche dal diabete mellito di tipo 2, malattia tipica dell’età matura.

La strada da percorrere prima che il dispositivo sia presente sul mercato è ancora lunga”, spiega il Professor Decuzzi, “serviranno almeno altri 4-5 anni, in cui sicuramente si intensificheranno le ricerche pre-cliniche”. I possibili vantaggi che porterebbe uno sviluppo del genere sono stimolanti e il gruppo di ricerca che sta portando avanti lo studio ha tutte le carte in tavole per riuscirci. Nessun gruppo di ricerca, in Italia o in Europa, si sta dedicando a questo argomento, ciò rende la sfida ancora più avvincente.

A cura di Raffaele Felice.

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