Sculture cellulari con la Soft X-ray tomography
Agenti virali, come ad esempio il famoso coronavirus SARS-CoV-2, sono in grado di cambiare le strutture delle cellule che infettano. Studiare l’architettura cellulare e i suoi mutamenti è molto importante e informativo circa lo sviluppo dell’infezione e i meccanismi delle patologie virali. Per poter vedere le componenti cellulari e i loro cambiamenti sono necessarie tecniche di imaging estremamente potenti, ad esempio la Soft X-ray tomography (SXT).
Recentemente un team di ricercatori del Centre for Organismal Studies (COS) dell’università di Heidelberg, in Germania, ha iniziato ad usare la SXT al fine di ottenere in tempi rapidi immagini tridimensionali molto dettagliate di intere cellule e delle loro strutture molecolari. Questa tecnica si è rivelata, rispetto a quelle con pari grado di dettaglio, molto più rapida per tempi di preparazione dei campioni e di acquisizione e computazionalmente meno pesante, producendo molti meno dati da analizzare.
Soft X-ray tomography: passi avanti della microscopia
Gran parte della nostra conoscenza passa attraverso la vista e ciò che siamo in grado di vedere. Il continuo evolversi delle tecniche di imaging ci permette di conoscere sempre meglio come funziona il nostro corpo fino al livello cellulare e subcellulare. Tecniche ormai ampiamente consolidate, come la microscopia a scansione elettronica, hanno permesso di capire fondamentali processi biologici, come lo sviluppo delle cellule e l’eziologia di alcune malattie. Tuttavia gli strumenti tradizionali presentano notevoli limitazioni.
Se la microscopia elettronica per permetterci di vedere un’intera cellula di mammifero richiede un processo di circa una settimana, con una produzione di dati enorme e di difficile gestione, dall’altra parte la Soft X-ray tomography impiega solo tra i 5 e i 10 minuti. Questa tecnica, inoltre, basandosi su principi di contrasto totalmente diversi da quelli della microscopia a elettroni, permette di visualizzare strutture cellulari altrimenti non visibili.
Nella SXT si utilizzano i cosiddetti soft X-rays, cioè raggi X con un livello di energia dei fotoni sotto 1 kV. Differentemente da quanto succede quando si lavora con gli hard X-rays, che possono danneggiare le cellule, le tecniche basate su radiazione X a bassa energia non richiedono particolari preparazioni del campione da visualizzare. La SXT pertanto si rivela applicabile per cellule senza trattamenti chimici, eliminando possibili artefatti derivanti dalla fissazione chimica. I campioni studiati vengono semplicemente crioconservati per mitigare gli effetti delle radiazioni e fissare le strutture cellulari.
Il campione sotto l’attento occhio della SXT viene attraversato dai raggi X focalizzati su di esso tramite lenti. I fotoni utilizzati sono in un particolare range di energie, la cosiddetta “finestra dell’acqua”, tale per cui la materia organica contenente carbonio e azoto assorbe i raggi con un ordine di grandezza in più rispetto all’acqua. Il diverso assorbimento dei fotoni da parte della materia è ciò che produce il contrasto e la nostra capacità di vedere le varie strutture. Bastano piccole differenza nella composizione biochimica per avere contrasti misurabili, e quindi strutture visibili.
Principi di funzionamento
Questa innovativa tecnica di imaging si basa su due fasi, una di raccolta del dato e una di ricostruzione dell’informazione. Il campione viene prima scansionato dalla radiazione da vari punti di vista, raccogliendo le proiezioni. L’acquisizione di un’intera serie tomografica, cioè 180 proiezioni, richiede pochi minuti. Successivamente, tramite potenti software di ricostruzione, le informazioni vengono messe insieme a dare la rappresentazione 3D della cellula, il tomogramma.
L’immagine di SXT che si ottiene è di natura quantitativa. Ogni voxel, cioè pixel 3D nell’immagine che si genera, ha associato un coefficiente di assorbimento lineare (LAC) dipendente dalla densità e dalla composizione biomolecolare della struttura rappresentata. Nel tomogramma in base all’intensità di grigio è possibile identificare le varie strutture subcellulari di interesse, come, ad esempio il nucleo e i mitocondri.
In uscita si ottiene una rappresentazione 3D di un’intera cellula e delle varie strutture costituenti. Ogni ultrastruttura ha associato a sé un coefficiente, cosa che rende automatizzabile il processo di localizzazione e isolamento delle regioni che si vogliono studiare. Questo permette di ottenere vere e proprie “sculture” delle componenti cellulari. Laddove individuare strutture con una simile attenuazione della radiazione fosse complesso, come nel caso delle proteine che formano il citoscheletro, si possono avere ulteriori informazioni correlando SXT con altre modalità di imaging, come la microscopia a fluorescenza.
Gli strumenti correnti di questa tecnica permettono di rappresentare cellule fino a 20 micron di spessore e di ottenere tomogrammi con una risoluzione di 35 nanometri, rappresentando dalla strutture molecolari alle intere cellule. È possibile talvolta avere con un singolo tomogramma un’immagine di un gruppo di cellule. Ad esempio, con piccoli batteri è possibile arrivare a visualizzarne più di 50 nel campo visivo.
La “super vista” della Soft X-ray tomography
La soft X-ray tomography si presta a diverse analisi, ma in particolare ad investigare l’infezione da parte di virus di cellule eucariote. La tecnica è già stata usata con successo per identificare i virioni, cioè singole particelle virali, di vari tipi di virus e i cambiamenti associati nelle cellule ospitanti. Ad esempio, in un’applicazione della SXT si è studiata la riorganizzazione della cromatina indotta nei linfociti B in seguito ad un’infezione di Herpes simplex. In generale quello che si osserva è la capacità dei virus di plasmare le cellule infettate in modo da creare un’ambiente più favorevole in cui replicarsi.
Nello studio del gruppo di Heidelberg si è andati a sondare le potenzialità di questa tecnica di imaging nel visualizzare e quantificare i cambiamenti indotti nelle cellule infettate da SARS-CoV-2. Ai fini del lavoro si sono prese in considerazione cellule umane dell’epitelio polmonare, le cui strutture sono state confrontate a 6 e 24 ore dall’infezione. Questo confronto quantitativo ha evidenziato profondi cambiamenti dell’architettura subcellulare dovuti all’infezione in maniera tempo dipendente.
I ricercatori hanno identificato gruppi di virus sulle superfici cellulari e i cambiamenti interni associati al virus partendo da cellule in capillari di vetro e immerse in una soluzione in grado di deattivare le particelle virali. Il largo campo visivo ha permesso di visualizzare la composizione cellulare, come il nucleo, mitocondri, corpi lipidici, vescicole intracellulari e il loro rimodellamento e riorganizzazione.
Ad oggi i ricercatori tedeschi stanno lavorando a raffinamenti delle tecniche di preparazione del campione, sull’automatizzazione delle analisi dei tomogrammi, ma soprattutto sullo sviluppo di un sistema da laboratorio, per rendere la tecnica meno di nicchia. Lo sviluppo di sistemi da tavolo e prototipi commerciali permetteranno esperimenti sistematici in qualunque laboratorio. Lo scopo futuro è poter vedere non solo gli effetti dei virus sulle cellule, ma anche studiare le conseguenze strutturali di potenziali agenti antivirali.