E se lo smartphone potesse diagnosticare malattie?
Sembrava impossibile, eppure il giorno in cui uno smartphone può diagnosticarci una malattia sembra essere arrivato.
Il professor Chong Ahn e il dottorando Sthitodhi Ghosh dell’università di Cincinnati, hanno messo a punto un dispositivo capace di diagnosticare malattia, che si connette allo smartphone. Esso sfrutta il metodo POCT (Point of care), che si riferisce proprio a quel tipo di test eseguibile senza doversi spostare in un luogo adibito a test clinici. Esso funge da mini-laboratorio. Può diagnosticare malattie, incluse malaria, HIV, coronavirus, persino ansia e depressione.
Ma come funziona?
Il dispositivo è costituito da una base, la MCFA platform (microchannel capillary flow assay), che ha la dimensione di una carta di credito. Sulla MFCA sono disposti microcanali capillari di flusso e reagenti chemiluminescenti, che emettono, cioè, una radiazione elettromagnetica quando avviene la reazione chimica. L’idrofilia dei microcanali produce un flusso di reagenti per il test e automaticamente si attiva la cheminoluminescenza per individuare eventuali biomarcatori di virus e malattie.
Il paziente deve semplicemente usare un tampone usa e getta, prelevare della saliva dal cavo orale e posizionarlo nella MFCA.
A questo punto entrano in gioco i microcanali. Essi infatti miscelano il campione inserito nel dispositivo con anticorpi di rilavamento liofilizzati. Gli anticorpi sono trattati con il metodo della liofilizzazione (processo che elimina l’acqua dalle sostanze organiche), proprio perché in questo modo sono più stabili rispetto agli anticorpi “normali”.
Collegamento della MFCA allo smartphone
La MFCA si connette allo smartphone semplicemente con un cavo USB-OTG dotato di un rilevatore ottico. Il dispositivo, però, ha limite di rivelabilità pari a 8 ng/ml. Il limite di rivelabilità è il parametro che indica la più bassa concentrazione di analita in un campione, che può essere rivelata nelle condizioni sperimentali del metodo.
Lo smartphone è l’oggetto ideale da sfruttare come point of care testing, poiché la maggior parte della popolazione ne possiede uno. Inoltre, è dotato di innumerevoli caratteristiche che sono potenzialmente utili: ingresso jack, wireless, fotocamera… Inizialmente, infatti, diversi ricercatori pensavano di avvalersi della fotocamera per il rilevatore ottico, ma non ha sensibilità sufficiente per l’immunodiagnostica. Quindi l’utilizzo di porte esterne, come l’USB, al momento, sembra essere la scelta migliore. L’uscita jack risulta invece poco potente, richiederebbe quindi l’ausilio di altri supporti e ciò renderebbe il dispositiovo, nel complesso, troppo costoso.
La diagnosi
Una volta inserito il tampone nella MFCA, lo smartphone si connette ad un’ app, ad hoc per il dispositivo. Invia i risultati ad un medico che si occupa di analizzare i dati e in alcune ore invia il responso. La MFCA può facilmente riscontrare anche anomalie ormonali, così da poter diagnosticare eventuali problemi psicologici del paziente.
Il professore e il suo team non temono confronti con i laboratori di analisi veri e propri, sostenendo che i risultati sono gli stessi, ma le analisi vengono effettuate in maniera molto più economica e a volte più rapida. Se pensiamo ai Paesi ancora in via di sviluppo, il lato economico risulta ancora più interessante. Il monitoraggio del quadro clinico, inoltre, risulterebbe più agevole per i luoghi in cui il servizio sanitario risulta complesso e poco accessibile.
Ghosh, fiduciosamente, afferma che il dispositivo è il futuro della sanità.