Tomografia a emissione di positroni: cos’è e come funziona la PET
La tomografia a emissione di positroni, rientra tra le tecniche diagnostiche adoperate in medicina nucleare ed è ampiamente utilizzata in ambito oncologico per identificare la presenza di tumori. Si utilizzano sostanze radioattive per la diagnosi e la valutazione dei pazienti, in questo caso perciò la sorgente dei raggi è interna al paziente. La radioattività è indotta da sostanze biochimicamente attive nel paziente.
Che cosa è l’esame PET?
Prima ancora di definire cosa sia la tomografia a emissione di positroni, è necessario chiarire come si ottiene una bioimmagine in ambito nucleare. L’atomo è identificato da un numero atomico Z che identifica i protoni del nucleo e ad esso si possono aggiungere i neutroni ottenendo il peso atomico. Se due elementi hanno lo stesso numero atomico ma differente peso atomico sono detti isotopi. Considerando l’idrogeno composto da 1 elettrone e da 1 protone, nel momento in cui riceve un neutrone, è un isotopo stabile, se invece ne acquisisce due, diventa instabile e si tratta di isotopi radioattivi che causano un decadimento che porta alla radioattività. Differenti sono le tipologie di radioattività, le quali si suddividono in base al tipo di particella. L’imaging diagnostica che adopera questo processo prende il nome di nucleare. L’imaging nucleare si avvale di un radiofarmaco, cioè composto marcato con radioisotopi, ottenuti legando atomi radioattivi, i quali emettono fotoni o positroni a molecole biologiche di interesse. Nello specifico la tomografia a emissione di positroni (PET) utilizza dei radiofarmaci che emettono positroni β+.
La somministrazione del radiofarmaco avviene per via endovenosa ed è una sostanza già presente nell’organismo, come il glucosio, la metionina o la dopamina. L’elemento prescelto è marcato con una molecola radioattiva, nel caso del glucosio con il Fluoro 18. Spesso si sceglie il glucosio poiché i tumori sono particolarmente avidi di questo composto e per questo li dove si concentrerà tale elemento, si evidenzierà la presenza del tumore, verificandone anche la metastasi e le dimensioni.
Nel caso della PET, il processo avviene in tal modo: il tracciante emittente si trova nel paziente ed una volta raggiunta la zona di interesse, emette positroni. I positroni β+ viaggiano per 1-3 mm incontrando vari elettroni e dando origine ad un fenomeno di annichilimento, il quale genera 2 fotoni γ opposti tra loro. I due fotoni vengono catturati da un cristallo rivelatore, che li converte in luce luminosa, poi amplificati da un fotomoltiplicatore. Un filtro di energia prevaleva solo i fotoni γ ad un’energia specifica e tramite l’utilizzo di un clock si fa in modo che arrivino tutti alla stessa annichilazione. Ogni rilevatore genera un impulso temporale, quando riceve un fotone composto da 2 canali opposti, i quali sono classificati e si considerano gli impulsi incidenti solo se hanno la stessa tolleranza temporale. Il risultato finale sarà un sinogramma.
Come si legge il referto della tomografia a emissioni di positroni?
In un referto della PET sono contenute delle informazioni essenziali tra cui il tipo di tracciante usato, la dose e la modalità di esecuzione del test. Inoltre vi è il quesito clinico che descrive la ragione dell’esecuzione dell’esame, il quadro scintigrafico cioè l’immagine ottenuta e le conclusioni quindi ciò che è emerso dell’esame.
In particolare:
- Il quesito clinico deve essere accompagnato da una breve storia clinica del paziente.
- Il quadro scintigrafico illustra ciò che emerge dell’esame, descrivendo le strutture anatomiche coinvolte e la presenza di eventuali lesioni o alterazioni anatomiche, paragonandole a possibili referti precedenti.
- Le conclusioni servono a rispondere al quesito clinico, con esito negativo se non vi è neoplasia o esito positivo se vi è presente un tumore.
Che macchinario è la PET?
L’imaging nucleare si avvale dell’utilizzo di uno scintillatore, il quale è un materiale in grado di ricevere onde elettromagnetiche ed emettere fotoni. In modo particolare, lo scintillatore in tale tipo di diagnostica è la gamma-camera, la quale è composta da un collimatore, da un cristallo rivelatore, da un fotomoltiplicatore, da un elettronica di elaborazione e da un computer. Il collimatore ha il ruolo di catturare solo i fotoni γ, il cristallo rilevatore riceve in ingresso i fotoni, i quali restituiscono in uscita luce luminosa. Il fotomoltiplicatore ha il compito di amplificare il segnale e inoltre riceve i fotoni luminosi e li trasforma in segnale elettrico per inviarli all’elettronica di elaborazione, quest’ultima legge quanti fotoni arrivano e compone l’immagine RGB. Nel caso della tomografia a emissione di positroni non vi è il collimatore ed i rilevatori circondano il paziente.
Chi fa la tomografia a emissioni di positroni emana radiazioni?
Per eseguire la PET è raccomandato il digiuno di zuccheri nelle 6 ore precedenti, in modo tale da permettere al glucosio presente nel radiofarmaco di depositarsi dove vi è il tumore, oltre ad assumere un quantitativo di liquidi sufficienti. E’ sconsigliato svolgere attività fisica intensa nelle ore precedenti. L’esame ha una durata compresa tra le 2 e le 3 ore, in quanto bisogna attendere dall’iniezione endovenosa 45 minuti per eseguire il test. Il tempo di acquisizione delle immagini si aggira intorno ai 30 minuti, considerando un ulteriore lasso di tempo per essere dimessi. Inoltre, dato che il radiofarmaco viene eliminato tramite le urine, è consigliabile nelle 5 ore successive adoperare un bagno riservato esclusivamente al paziente ed è bene evitare il contatto con donne in gravidanza e bambini prima che la radioattività sia stata completamente eliminata.
Cosa è la PET-TC?
Poiché la tomografia a emissione di positroni presenta problemi legati alla risoluzione, è unita alla TC. In passato, prima si eseguiva prima una tecnica e poi l’altra, ma si rischiava di cadere in una serie di errori tra i quali il paziente per entrambi gli esami doveva mantenere la stessa posizione per evitare la presenza di falsi positivi. Inoltre nella TC viene adoperato un lettino piatto, invece la PET utilizza un lettino curvo, facendo così assumere il paziente una differente posizione. Per risolvere tali problemi nascono i tomografi ibridi, che ha portato ad un miglioramento in termini di accuratezza nell’interpretazione di immagini del corpo e degli organi. Tramite l’unione delle due tecniche diagnostiche si ottengono bioimmagini che contengono informazioni sia anatomiche, con la TC, e sia funzionali per la presenza della PET.
Che differenza c’è tra una TAC e una PET?
Nonostante la TAC e la PET possano trovarsi nello stesso strumento, entrambi possono essere eseguite da sole, presentando alcune differenze: la TAC si avvale dell’utilizzo di radiazioni ionizzanti cioè i raggi X che attraversano l’organismo e ne permettono di ottenere l’immagine, invece la PET adopera un radiofarmaco il quale emette positroni β+ direttamente dall’organismo. Inoltre, la TAC permette di ottenere bioimmagini di carattere morfologico, invece la tomografia a emissioni di positroni dà come risultato immagini funzionali.
A cosa serve la PET TAC total body?
Differenti sono le tipologie di acquisizione della tomografia a emissioni di positroni, variando in base alla diagnosi per cui l’esame è richiesto, esse sono: acquisizione total body, acquisizione statica e dinamica infine l’acquisizione gated. Generalmente tutti gli esami diagnostici prevedono una prima acquisizione di una TC di tutto il corpo per identificare la posizione del paziente, poi viene eseguita una TC normale e poi un PET.
L’acquisizione total body è adoperata per lo studio approfondito di differenti tipologie tumorali e riguarda l’acquisizione di tutto il corpo. L’acquisizione statica interessa una regione specifica del corpo, quella dinamica permette di comprendere l’evolversi dell’accumulo del radiofarmaco. Infine l’acquisizione gated riguarda gli organi interni in movimento come ad esempio il cuore unendo tale imaging a un elettrocardiogramma.
Sviluppo futuri sulla tomografia a emissione di positroni
La PET è ampiamente utilizzata in campo oncologico, adoperando apparecchiature sofisticate che permettono di osservare le caratteristiche di un tumore, dalla grandezza, alla metastasi ed anche alla localizzazione specifica. Tra gli sviluppi futuri che riguardano tale tecnica diagnostica, sicuramente rientrano l’evoluzione di radiofarmaci , per permettere di ottenere informazioni sempre più dettagliate sulle neoplasie ed creare delle terapie specifiche.