La trombosi è la terza malattia cardiovascolare per diffusione e ha un’incidenza di 100/100.000 persone ogni anno. Nei due terzi dei pazienti si manifesta sotto forma di trombosi venosa profonda mentre un terzo è rappresentato da pazienti con embolia polmonare associata a trombosi venosa. Se questa patologia non viene trattata adeguatamente, esiste il rischio di recidiva (29% dei pazienti) e, nei casi peggiori, può condurre alla morte (26% dei pazienti). La trombosi e la sua incidenza dopo le dosi di vaccini: dobbiamo avere paura? Andiamo per parti.
Quando parliamo di trombosi è doveroso distinguere due condizioni cliniche differenti: la trombosi venosa e la trombosi arteriosa. In entrambi i casi la patologia è dovuta alla formazione di un trombo (coagulo di sangue) che ostacola la circolazione all’interno del vaso sanguigno (vena o arteria) causando la necrosi ischemica o morte dell’organo irrorato dal vaso ostruito. Ciò che distingue le due tipologie di trombosi sono le cause che portano alla formazione del trombo. Generalmente la trombosi arteriosa è causata da aterosclerosi, dunque i principali fattori di rischio sono ipercolesterolemia, ipertensione, fumo di sigaretta e obesità.
La trombosi venosa nella maggior parte dei casi deriva da fattori di rischio acquisiti e transitori (ad esempio l’essere stati sottoposti ad un intervento chirurgico) e in parte minore dalla predisposizione genetica all’ipercoagulabilitá, una condizione che aumenta il rischio di formazione di coaguli che possono evolvere in trombi. La trombosi arteriosa è più pericolosa poiché le arterie trasportano sangue ricco in ossigeno e, se questi vasi risultano ostruiti, possono portare a infarto del miocardio, ictus cerebrale e ischemia periferica. Di contro, i trombi nelle vene sono più subdoli e difficili da diagnosticare, perché rallentano il ritorno di sangue al cuore, non portando a sintomi evidenti sin dalla loro formazione.
Questa patologia è difficile da diagnosticare poiché nel 50% dei casi è asintomatica e quando insorgono i sintomi si sono già sviluppate condizioni più severe. I trombi in generale si formano più facilmente nelle gambe, anche se è da tenere a mente che qualunque vena o arteria può essere interessata da trombosi. I campanelli d’allarme possono essere aumento di volume, sensazione di calore, intorpidimento e arrossamento della zona o arto interessato. La presenza di questi sintomi non va sottovalutata.
Il fattore fondamentale su cui intervenire per prevenire questa patologia è lo stile di vita: deve essere favorita l’attività fisica per evitare la presenza di fattori di rischio aggiuntivi, come il sovrappeso e l’obesità. Inoltre un’alimentazione sana ed equilibrata si rende necessaria per evitare l’insorgenza di ipercolesterolemia e aterosclerosi. Le donne con predisposizione genetica alla trombosi venosa dovrebbero evitare l’utilizzo di estroprogestinici a scopo anticoncezionale oppure utilizzarli solo in seguito ad una valutazione approfondita di uno specialista.
Ad oggi la cura per la trombosi venosa è rappresentata da farmaci anticoagulanti, in grado di inibire la coagulazione del sangue, ma possono essere efficaci anche in caso di trombosi arteriosa. I farmaci antiaggreganti invece riducono la capacità delle piastrine di aggregarsi e sono indicati solo nella prevenzione e cura di trombosi arteriose. Inoltre alcuni pazienti possono essere sottoposti a trattamenti interventistici che potrebbero determinare la risoluzione del coagulo e ridurre il rischio di complicanze a lungo termine.
Come anticipato, la trombosi è spesso asintomatica e per questo motivo l’esame clinico risulta poco attendibile. Sono diversi gli approcci utilizzati per diagnosticare la malattia: l’ecocolordoppler, l’angio-tc e la venografia. L’ecocolordoppler permette di evidenziare la presenza del trombo nel lume venoso, ma non è indicato in pazienti obesi o da poco sottoposti ad intervento chirurgico. L’angio-tc, oltre alla presenza del trombo, consente lo studio del circolo polmonare per valutare la presenza di embolia polmonare. La venografia rappresenta la procedura standard in casi di sospetta trombosi, ma è molto invasiva e costosa. Inoltre è possibile utilizzare per la diagnosi la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata.
Ad oggi i casi di trombosi osservati in seguito a vaccinazione anti COVID-19 sono stati catalogati come “non comuni” o rari e sono condizioni presenti nella letteratura scientifica da ben prima della campagna vaccinale. Questa tipologia di trombosi avviene nelle vene del cervello e più raramente nelle vene degli organi interni dell’addome; ha un’incidenza di 1/100.000 persone (la trombosi comune colpisce 100/100.000 persone). Le trombosi osservate durante la campagna vaccinale sono atipiche e non si riconoscono negli stessi fattori di rischio noti per le trombosi tradizionali. La causa che porta a questa condizione rara sembra risiedere in un meccanismo autoimmune che può avvenire anche nei confronti di qualsiasi altro farmaco. I casi di trombosi rare osservati nella campagna vaccinale riguardano prevalentemente pazienti sani, sotto ai 60 anni di età e nella maggior parte donne.
C’è un aspetto fondamentale di cui tenere conto: se la probabilità di avere una trombosi dopo vaccinazione anti COVID-19 è circa 1 su un milione, la probabilità di svilupparla in corso di infezione da COVID-19 è 164.000 su un milione. Inoltre, la trombosi del circolo polmonare è uno dei motivi principali per cui i pazienti con COVID-19 si ammalano in forma grave.
I casi di trombosi osservati dopo i vaccini sono rarissimi e ci si può vaccinare in totale sicurezza. Tutti i vaccini approvati contribuiscono in maniera significativa a prevenire forme severe di COVID-19 e pertanto sono fondamentali per affrontare la pandemia. La malattia da COVID-19 può generare quadri clinici molto complessi: non dobbiamo rinunciare al vaccino per paura, ma dobbiamo vaccinarci con fiducia per un futuro più roseo.
A cura di Alice Diroma