Una scoperta strabiliante di un gruppo di ricerca australiano: il veleno delle api può uccidere le cellule tumorali in due sottotipi di cancro al seno, il triplo negativo e il HER2-arricchito. Sono le due forme di cancro al seno più aggressive e più difficili da curare, particolarmente diffusi nelle donne più giovani. Sono moltissimi i gruppi di ricerca che si impegnano ogni giorno nello studio di queste patologie, con l’obiettivo di trovare nuove cure e trattamenti per malattie che ad oggi sono incurabili. Da questo derivano l’importanza e le potenzialità di questo nuovo lavoro. Si tratta di uno studio recentissimo, che è stato condotto dall’Harry Perkins Institute of Medical Research di Perth e pubblicato su Nature Precision Oncology giusto agli inizi di settembre. La responsabile della ricerca Ciara Duffy è consapevole della lunga strada che deve essere ancora percorsa, ma questo sicuramente si tratta di un primo step verso una possibile cura per questo tipo di tumore. Comprendere i meccanismi molecolari innescati dal veleno contro le cellule tumorali è un passaggio necessario per poter sviluppare e ottimizzare nuove terapie efficaci ottenute da un prodotto naturale che è ampiamente disponibile e conveniente da produrre in tutto il mondo.
Il TNBC costituisce circa il 10-30% dei tumori al seno. È un tumore particolarmente aggressivo che colpisce in particolare donne in giovane età e ha una prognosi peggiore rispetto ad altri tipi di cancro al seno, principalmente perché esistono meno farmaci mirati che trattano questa forma di carcinoma.
Come nella maggior parte dei tumori, per la sua diagnosi, si va a valutare la presenza di determinati recettori presenti sulle cellule tumorali. I recettori cellulari sono proteine speciali che si trovano sia all’interno sia sulla superficie delle cellule. Queste proteine sono gli “occhi” e le “orecchie” delle cellule, ricevono quindi messaggi dalle sostanze nel flusso sanguigno e dicono alle cellule cosa fare. I recettori ormonali delle cellule mammarie sane ricevono informazioni dagli ormoni estrogeni e dal progesterone, che consentono alla cellula di continuare a crescere e funzionare correttamente. La maggior parte, ma non tutte, delle cellule del cancro al seno hanno anche questi recettori ormonali. Una percentuale minore di tumori al seno produce una quantità eccessiva di proteina HER2. In cellule mammarie sane, questa proteina stimola la crescita cellulare. Tuttavia, quando le cellule del cancro al seno contengono troppa proteina HER2, le cellule crescono e si dividono rapidamente. Le terapie ormonali esistenti, mirate verso HER2, interrompono gli effetti degli estrogeni, del progesterone e della proteina HER2 e, in questo modo, cercano di rallentare o addirittura arrestare la crescita delle cellule tumorali.
Delle varie forme di tumore al seno, circa il 10-20% risulta negativo ai recettori degli estrogeni, a quelli del progesterone e a quelli della proteina HER2, venendo così definiti tripli negativi. Dal momento che questi ormoni non alimentano la crescita tumorale, è improbabile che il tumore risponda positivamente ai farmaci per la terapia ormonale e a quelli che prendono di mira la proteina HER2.
Nonostante ciò, nell’obiettivo di contrastare questa forma di tumore così aggressiva, può essere realizzata la mastectomia, ovvero la rimozione chirurgica della mammella, seguita da radioterapia o chemoterapia.
L’HER2-arricchito è un altro sottotipo di tumore al seno, sempre molto aggressivo e con una velocità di crescita molto elevata. Sebbene la maggior parte dei tumori HER2-arricchiti siano HER2-positivi, circa il 30% sono HER2-negativi. Di conseguenza, è piuttosto complesso stabilire una terapia mirata per combattere queste forme tumorali. Come nel caso del TBNC, le terapie tradizionali come mastectomia seguita da radioterapia o chemoterapia sono gli approcci più utilizzati. Nel caso di tumori HER2-arricchiti che risultano anche HER2-positivi, si può invece propendere per terapie mirate a HER2.
Nonostante tutto, questi approcci non rappresentano un’effettiva cura a questi sottotipi di cancro al seno. La necessità di una terapia efficace si fa sempre più insistente ed ogni scoperta in questo ambito rappresenta un passo avanti verso un’effettiva cura.
L’interesse nel veleno delle api è nato dal fatto che quest’ultimo ha già mostrato i suoi effetti antitumorali nei test di laboratorio su diverse cellule ottenute da melanoma, glioblastoma, cancro alle ovaie, giusto per citarne qualcuno. Ma perchè proprio questo veleno? La melittina è la risposta. Essa è la componente attiva di questo veleno ed è la responsabile di questo effetto anti-tumorale. Non è altro che un peptide, che si lega al doppio strato fosfolipidico della membrane cellulare e, grazie a questo legame, forma dei pori al suo interno che possono consentire l’internalizzazione di piccole molecole aggiuntive con attività citotossiche. La formazione di questi pori può quindi agevolare l’assorbimento di agenti chemoterapici. Proprio per questo, il suo utilizzo come mezzo anti-tumorale può essere affiancato ad una terapia chemoterapica.
Lo studio è partito da analisi in laboratorio, in vitro, sulle linee cellulari ottenute sia dal tumore TNBC sia dal HER2. Il veleno delle api e la melittina sono in grado di ridurre specificamente la vitalità delle cellule di queste due forme di tumore, mostrando invece un impatto trascurabile sulle cellule normali.
Abbiano accertato che il veleno delle api da miele è notevolmente efficace nell’uccidere alcune delle più aggressive cellule del cancro al seno, in concentrazioni che non sono dannose per le cellule normali
Successivamente, sono stati realizzati anche degli studi in vivo su modelli murini per andare a testare poteniali effetti sinergici tra melittina e agenti chemioterapici. Quello che si è osservato è che la melittina sensibilizza il TNBC al trattamento con docetaxel in vivo. Questi risultato hanno evidenziato il potenziale racchiuso da questo nuovo trattamento: la melittina può essere utilizzata in terapie combinate per aumentare potenzialmente l’efficacia e / o ridurre la dose di agenti citotossici, consentendo l’erogazione di trattamenti più convenienti con potenzialmente meno effetti collaterali.