Nel capitolo di Star Wars “L’impero colpisce ancora”, a seguito di una accesa lite familiare a colpi di spade laser, Luke Skywalker perde la mano destra. Fortunatamente Luke riesce a tornare rapidamente sul campo di battaglia grazie all’impianto di una mano robotica completamente funzionale ed integrata; il resto della storia lo conosciamo tutti.
Oggi questa tecnologia non è più così futuristica e notevoli passi avanti sono stati fatti nella progettazione di protesi di arto superiore. Grazie anche alla stampa 3D, che permette una fabbricazione più economica e rapida, possiamo disporre di diversi modelli di protesi mioelettriche (controllate tramite gli stimoli elettrici generati dai muscoli adiacenti al moncone) ma anche di protesi azionate dal pensiero, ovvero dall’attività neuronale del cervello.
Se è vero che disponiamo oramai di un ampio portfolio di protesi capaci di afferrare oggetti in modo efficace, è anche vero che il ripristino della sensibilità tattile sembra la sfida più complicata. Tuttavia, notevoli passi avanti sono stati fatti anche in questa direzione: citiamo a titolo d’esempio la mano robotica sviluppata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con il Politecnico di Losanna, che è stata progettata proprio per permettere al paziente di poter percepire il contatto con gli oggetti, trasmettendo ai nervi gli stimoli acquisiti tramite i sensori installati sull’arto.
Nella società ideale descritta nel romanzo distopico Il mondo nuovo (Brave new world) di Aldous Huxley, i cittadini vivono in uno stato di perenne e “rassicurante” felicità artificiale, grazie ad una sostanza euforizzante priva di qualsiasi controindicazione (se non quella di accorciare la vita di qualche anno): il soma. Questa droga ideale, distribuita gratuitamente dallo Stato, è uno degli espedienti utilizzati per realizzare l’ideale utopico di un mondo in cui in nome della stabilità sociale viene bandita qualsiasi forma di sofferenza.
Circa 20 anni dopo la pubblicazione del romanzo di Huxley, i ricercatori tracciano per la prima volta la correlazione esistente tra chimica e disturbo depressivo; per la prima volta si ipotizza che la depressione sia una patologia causata da uno squilibrio chimico dei neurotrasmettitori del cervello. Come sovente accade in medicina, questa teoria è basata sulla casuale scoperta delle proprietà euforizzanti dell’iproniazide, una molecola al tempo utilizzata nella terapia della tubercolosi: un fotografo dell’Associated Press pubblicò una foto di un sanatorio di New York dove venivano riprese pazienti sorridenti mentre danzavano scherzose; i medici notarono che tali miglioramenti di umore non potevano essere ascritti soltanto al miglioramento clinico per cui cominciarono a sperimentare tale farmaco nei pazienti depressi. Dall’iproniazide derivò così la prima classe di antidepressivi inibitori delle monoammino ossidasi.
I film che ci hanno propinato questa tecnologia non si possono contare di certo sulle dita di una mano; uno tra questi è Minority Report, film diretto da Steven Spielberg e tratto dall’omonimo romanzo di Philip K. Dick. Il protagonista di questo film John Anderton (interpretato da Tom Cruise) arriva addirittura a farsi impiantare dei nuovi occhi, ottenuti al mercato nero, al fine di eludere gli eye-scanner disseminati in tutta la città (vi preghiamo di non farlo a casa!).
Il riconoscimento facciale nasce dal connubio tra intelligenza artificiale e biometria e permette di riconoscere l’identità di un individuo a partire da immagini che lo ritraggono. Il riconoscimento avviene mediante tecniche di elaborazione digitale delle immagini che riescono ad isolare i volti dei soggetti (il pattern che l’algoritmo deve riconoscere) definendo tutto il resto come background.
Oramai le applicazioni in real-time di questa tecnologia sono le più svariate: dal semplice sblocco dello smartphone, all’implementazione di alcune tecnologie captcha sino alle sue applicazioni di prevenzione nell’healthcare. Addirittura in Cina diversi face-scanner sono stati istallati nelle strade schedando milioni di persone; ecco che lo scenario immaginato da Dick diventa realtà.
È arrivato il momento di essere onesti. In segreteria studenti, al momento dell’iscrizione alla facoltà d’Ingegneria Biomedica, avevamo un solo pensiero. No, non parliamo del nostro amore per la biologia e la fisiologia e neanche delle più alte prospettive di carriera. L’obiettivo era uno solo: realizzare l’armatura di Iron Man (o almeno andarci vicino).
SPOILER: almeno per il momento quest’armatura è irrealizzabile a causa di diversi limiti tecnologici che non stiamo qui ad approfondire. Per il momento dovremmo quindi accontentarci di normali esoscheletri.
Gli esoscheletri sono delle “tute” meccatroniche in grado di aumentare le capacità fisiche (forza, agilità, velocità, potenza, ecc.) dell’utilizzatore, attraverso meccanismi idraulici e pneumatici o servomotori. Ve ne sono differenti in commercio e si differenziano in base alla propria applicazione in tre categorie: gli esoscheletri ad uso medico per i pazienti affetti da paraplegia o tetraplegia oppure per la riabilitazione, i quali permettono di ripristinare le funzionalità degli arti, gli esoscheletri ad uso civile come, ad esempio, quelli utilizzati in fabbrica per sollevare carichi pesanti e quelli ad uso militare che potenziano resistenza e velocità dei soldati.
Questa tecnologia, sebbene promettente, comprende diversi limiti e problematiche di design, soprattutto per quanto riguarda la loro alimentazione e la rigidità dei movimenti al livello delle articolazioni.
Il film Gattaca di Andrew Niccol racconta di un futuro prossimo dove, attraverso l’ingegneria genetica, è possibile far nascere esseri umani con un preciso corredo genetico. Tramite questo processo, si possono scegliere e prevedere in anticipo le future condizioni fisiche e di salute dei nascituri, che vengono quindi artificialmente generati senza imperfezioni. Sostanzialmente, la società risulta di fatto divisa in due categorie: i validi, cioè esseri dal corredo genetico perfetto, che vengono scelti per ricoprire i ruoli più prestigiosi della comunità, ed i non validi, ovvero le persone nate coi loro genomi naturali, destinati allo svolgimento dei lavori più umili e relegati ai margini della vita sociale.
L’ingegneria genetica, ovvero quella branca della biotecnologia che comprende diverse tecniche in grado di isolare e clonare geni al fine di ricombinare il DNA di un organismo, ha fatto parlare molto di sé in questi ultimi anni. Queste tecniche hanno già destato clamore in passato per via dei cibi geneticamente modificati (OGM), generando tanto allarmismo e leggende metropolitane. In questi ultimi anni l’ingegneria genetica ha fatto ulteriori passi avanti, ponendosi come obiettivi la lotta alle malattie come il cancro e la disponibilità di trattamenti su misura per il paziente.
Ma è proprio nel novembre del 2018 che Scienza e Fantascienza rischiano di fondersi; il dilemma etico presentato in Gattaca diventa realtà: per la prima volta sono stati dati alla luce due bambini con DNA modificato. Per la precisione, parliamo di due gemelle che sono state sottoposte ad editing genetico con la tecnica CRISPR, al fine di renderle “immuni” al virus dell’HIV. Parecchi esperti sono dubbiosi sulla svolta di questo esperimento e gran parte della comunità scientifica si è schierata contro sia per problematiche etiche sia per i rischi che potrebbero derivarne. Recentemente, il genetista cinese He Jiankui, a capo della ricerca, è stato condannato a 3 anni di carcere ed al pagamento di circa 400mila euro di multa, per pratica medica illegale ed insieme a lui anche due altri ricercatori che partecipavano alla ricerca.
Inutile dire che questo “trionfo” della Scienza lascia spazio a diverse domande etiche per il futuro: “Sarebbe accettabile scegliere il corredo genetico delle prossime generazioni, creando di fatto una società libera dalla malattia oppure, spingendoci più in là, selezionare le caratteristiche fenotipiche dei propri figli come su un catalogo?”.
Concludiamo questo articolo così, con un grosso punto di domanda, sperando di avervi lasciato uno spunto di riflessione.